Arrampicandoci con le api
Né difficoltà, né fatica. Per le api, ma anche per tutti gli insetti, affrontare una parete verticale è banale come per noi attraversare un giardino. Nessuna differenza: che la parete sia rugosa come in un vecchio muro scrostato, o levigata come in vetro appena pulito, le api vanno contro la forza di gravità come se per loro non esistesse. Forse il solo barone rampante si poteva permettere una tale agilità, però ebbe anche la fortuna di avere genitori che mai si preoccuparono che si rompesse una gamba e, perciò, non si ruppe mai una gamba trascorrendo una vita quasi intera sugli alberi.
Parte terminale
Il segreto degli insetti si riduce alla parte terminale delle loro zampe, ad una piccola porzione denominata pretarso, che è possibile notare nelle seguenti fotografie della porzione distale della zampa posteriore di un’ape operaia.
Le tre zampe
Le tre paia di zampe di un insetto, sebbene non siano quasi mai simili, sia nella forma che nelle dimensioni, si compongono di sei parti, dette articoli, mobili l’uno rispetto all’altro tramite articolazioni flessibili.
(Zampa mediana destra di ape operaia, da Grout, rielaborata).
Nel disegno della zampa mediana di un’ape operaia si hanno, in successione, partendo dalla parte basale incernierata al torace: l’anca o coxa (Cx), il trocantere (Tr), il femore (Fm), la tibia (Tb), il tarso (Tar) e, finalmente, il pretarso (Ptar).
Anatomia del “piede” dell’ape
Il pretarso potrebbe definirsi il “piede” dell’ape, e costituisce una importante parte della zampa portando gli organi che permettono all’insetto di aggrapparsi o aderire alle superfici verticali.
(Parte terminale del tarso di zampa mediana di ape operaia, da Grout, rielaborato).
Il seguente dettaglio della parte terminale della zampa ci permette di avvicinarci agli organi componenti il pretarso, numerosi e strettamente coordinati tra di loro. In evidenza le unghie (Cla) e l’arolio (Emp).
(Tarso di zampa anteriore di ape operaia, da Snodgrass, rielaborato).
Le unghie sono bilobe, cioè terminano in due distinte porzioni appuntite: in condizione di risposo sono impiantate verticalmente rispetto all’asse longitudinale del pretarso e le loro robuste basi sono articolate su un piccolo condilo posto all’estremità del tarso (b).
Interessante il confronto tra le unghie dell’ape operaia, dell’ape regina e del maschio: quelle dell’operaia e delle regina mostrano minime differenze nella forma, sebbene quelle della regina siano di maggiori dimensioni, mentre quelle del maschio sono più grandi e alquanto differenti nell’aspetto sia da quelle dell’operaia che della regina.
(Unghie di ape operaia (A), di ape regina (B) e di fuco (C), da Snodgrass, rielaborato).
L’arolio (Ar) si estende tra le unghie all’estremità del pretarso: allo stato di riposo è rivolto verso l’alto e appare come un semplice lobo ovale e molle, ma nella sua superficie dorsale rivela una profonda incisione, come mostrato nella seguente figura. La porzione basale dell’arolio è unita all’estremità del tarso da uno sclerite (c), posizionato nella parte superiore del pretarso e munito di 5/6 setole lunghe e ricurve.
(Visione dorsale del pretarso, da Grout, rielaborato).
Nel seguente disegno, tratto dall’originale testo di Snodgrass del 1910, la parte dorsale del pretarso è data in una visione meno schematica.
(Visione dorsale del pretarso, da Snodgrass, rielaborato).
Il pretarso, visto dalla parte inferiore, mostra due scleriti a forma di piastrine: quello prossimo all’estremità del tarso, più robusto ed in parte nascosto e fissato all’estremità di un robusto tendine interno (t) che attraversa il tarso e, giunto alla tibia, si divide in due rami collegati a due robusti muscoli, è l’unguiretrattore (Utr); quello a contatto con l’arolio, ricoperto da forti spine, è la planta (Pln). L’arolio, nella sua parte prossimale, è dotato di una fascia elastica ad U (d).
(Visione ventrale del pretarso, da Grout, rielaborato).
Anche il successivo disegno è tratto dal testo originale di Snodgrass del 1910. Una differenza nella terminologia: l’arolio era nominato nel testo di Snodgrass empodium.
(Visione ventrale del pretarso, da Snodgrass, rielaborato).
Aderendo alle superfici verticali
Descritto il “piede” dell’ape nelle sue componenti, vediamone il funzionamento iniziando dalla sua posizione di riposo.
(Pretarso nella posizione di riposo, da Grout, rielaborato).
Quando l’ape si trova nella necessità di aggrapparsi ad una superficie verticale, contrae due muscoli, uno presente nella tibia (95 b) e l’altro allungato fino alla base del femore (95 a);
(Muscoli retrattori, da Grout, rielaborato).
attraverso i due rami del tendine interno a cui sono uniti, la contrazione dei due muscoli ritrae l’unguiretrattore entro la parte terminale del tarso; essendo unito alla base delle unghie, queste si flettono fino a che l’irregolarità della superficie di contatto non le blocca.
(Azione delle unghie su di una superficie ruvida, da Grout, rielaborato).
Quando la superficie è levigata e non fornisce una presa alle unghie, la continua contrazione dei muscoli fa ruotare le unghie all’interno fino a farne scivolare le punte verso l’alto rendendole inservibili; a questo punto la trazione si esercita, tramite la planta, sulla base dell’arolio ma il manico dell’arolio (c), premuto contro il tarso, ne impedisce la retrazione dello stesso; la tensione che si esercita, unita a quella della zampa contro la superficie di contatto, appiattisce e distende l’intero arolio sulla superficie liscia.
(Azione del pretarso su di una superficie liscia, da Grout, rielaborato).
Un liquido appiccicoso essudato tra le spine della planta attribuisce efficaci proprietà adesive all’arolio.
Terminata l’azione di trazione dei muscoli, la fascia elastica alla base dell’arolio riavvicina le sue parti laterali verso l’alto, mentre l’elasticità dei legami propri delle unghie le riporta nella posizione distesa.
[Due i testi ai quali ci siamo rivolti per realizzare questo articolo: R. E. Snodgrass, “The anatomy of the honey bee”, Washington, 1910; Roy A. Grout, “L’ape e l’arnia”, Edagricole, Bologna, 1981].