Quanto nettare trasporta un’ape?
Nelle ultime settimane della propria breve esistenza l’ape operaia si dedica alla raccolta di nettare, polline, acqua e propoli. Iniziato il lavoro di bottinaggio, come si usa dire, le api lo proseguono in modo consecutivo per vari giorni, fino a 21. Indicazione di valore generale: in situazioni, peraltro molto rare, le attività di volo all’esterno dell’alveare possono essere svolte da api di solo quattro giorni di vita.
Memoria temporale
In questa occupazione le api dimostrano di possedere una memoria temporale tanto precisa quanto importante per la colonia: addestrate a raccogliere una soluzione zuccherina da nutritori esposti in un preciso e breve scorcio della giornata, le api raccoglitrici restano oziose per il resto del tempo all’interno dell’alveare, in realtà pronte per intervenire in casi di emergenza.
85%!
Ma veniamo agli aspetti quantitativi. E i dati sono sorprendenti: un’ape operaia di razza ligustica, insomma italiana (Apis mellifera ligustica), pesa in media 82 mg ed è in grado di trasportare fino a 70 mg di nettare, cioè è in grado di portare in volo ad una velocità di oltre 20 km/h una quantità di nettare pari all’85% del suo peso. Come se uno di noi del peso di 70 kg si portasse sulle spalle, correndo molto velocemente e per parecchi chilometri, uno zaino da 60 kg!
Solo 10 mg.
Di ritorno dal suo viaggio, l’ape bottinatrice consegna il prezioso carico ad altre api dell’alveare ma, sempre, trattiene un quantità di nettare, mediamente 10 mg, che le servirà quale “carburante” per il successivo viaggio.
10 viaggi al giorno
Stabilire quanto nettare, in una intensa giornata di lavoro, un’ape riesca a riportare nel proprio alveare è tutt’altro che facile in ragione dei numerosi fattori convolti. A titolo d’esempio, bottinando sul meliloto un viaggio completo dura in media dai 27 ai 45 minuti, mentre sui fiori di Limnanthes le api lavorano dai 106 ai 150 minuti per completare un carico. A ciò vanno aggiunti i quattro minuti che le bottinatrici si concedono nell’alveare tra un viaggio e l’altro. Oppure, con alcune essenze botaniche bastano 100 visite fiorali per completare un carico di nettare, alcune centinaia nel caso del meliloto, mentre con altre ne servono fino a 1500, ad esempio con i fiori di Limnanthes. Una specie botanica che consenta di completare il carico di nettare in meno di 100 visite fiorali è considerata una pianta nettarifera molto interessante; un raccolto che richiede meno visite consente infatti alla bottinatrice di compiere più viaggi nel corso della giornata. Ma dalle ricerche emerge un altro elemento: il carico di nettare per viaggio aumenta al crescere della concentrazione di zucchero nel nettare, passando da circa 56 mg con una concentrazione del 20%, a circa 80 mg con una concentrazione dell’80%. Comunque sia, il numero di viaggi giornalieri effettuati da una bottinatrice può, in situazioni favorevoli ma rare, arrivare a 24, e mediamente oscilla tra 7 ed i 13 viaggi; in molti ritengono ragionevole utilizzare come dato generale una decina di viaggi giornalieri.
Almeno 4 chilogrammi di nettare
Pertanto, supponendo una decina di viaggi giornalieri ed una capacità media di circa 40 mg, si giunge ad una raccolta giornaliera per ape di circa 400 mg. E, poiché in un alveare in buone condizioni di sviluppo le bottinatrici sono almeno 10.000, ogni giorno entrano nell’alveare circa 4 kg di nettare. Che non significano però 4 kg di miele, in quanto il miele ha una concentrazione di acqua spesso molto inferiore a quella del nettare. Di questo aspetto parleremo una prossima volta.
Una borsa speciale
Domanda, a questo punto inevitabile: dove le api conservano tutta quella quantità di nettare durante i lunghi voli di ritorno all’alveare?
In un sacco dalle sottili pareti che, mentre negli altri insetti prende il nome di ingluvie, è comunemente noto agli studiosi di api col termine di borsa melaria, proprio perché adibita al trasporto del nettare o del miele. « … per così dire, lo stomaco della comunità …», secondo Maeterlinck. Ma anche ad un iniziale processo di trasformazione del nettare in miele a seguito di secrezioni salivari liberate nella porzione anteriore dell’apparato digerente.
La borsa melaria è semplicemente un allargamento della parte terminale dell’esofago presente nella porzione anteriore della cavità addominale. È meglio sviluppata nelle api operaie (figura sopra, HS), raggiungendo una capacità media di 50-60 μl, fino a 100 μl (milionesimi di litro), e la successiva immagine mostra la sua capacità di dilatarsi fino ad occupare una parte significativa dell’addome.
La borsa melaria è presente anche nei fuchi e nell’ape regina (figura sotto), senza tuttavia mai svolgere la funzione di trasporto del nettare propria delle api operaie.
Anatomia di un tratto dell’esofago
Questo organo avrebbe dovuto essere più opportunamente denominato borsa nettarifera, dato che la sua principale funzione è quella di contenere il nettare raccolto sui fiori e di permettere alle api operaie di accumulare una considerevole quantità di questo liquido prima di ritornare all’alveare. Poiché la borsa melaria è un sacco con le pareti molto estensibili, la sua dimensione è sottoposta a grandi variazioni: quando è vuota appare come una piccola sacca flaccida, mentre quando è ricolma di nettare si presenta come una enorme sacca a forma di pallone con le pareti sottili e tese. La struttura istologica della borsa melaria è esattamente la stessa di quella esofagea e l’enorme espansione di cui è capace la sacca è garantita dalle numerose e profonde ripiegature dell’epitelio.
Il disegno della borsa melaria di un’ape regina (sopra) evidenzia le fitte e profonde pieghettature dell’epitelio (Epth) che garantiscono una ampia dilatazione della sacca rendendola ideale per lo stoccaggio di abbondante nettare.
Quando l’ape operaia, con la borsa melaria ricolma di nettare, raggiunge l’alveare può depositare il nettare direttamente in una cella oppure consegnarlo ad un’altra ape operaia che provvederà da subito a depositarlo in una o più cellette.
La borsa melaria è seguita da un tratto breve e stretto, il proventricolo (Pvent), un peduncolo interposto tra la borsa melaria e lo stomaco vero e proprio, con una sua importante porzione che si protende entro la borsa melaria.
La bocca dello stomaco
L’estremità anteriore del proventricolo si inserisce nella borsa melaria con una apertura ad X definita da quattro sezioni triangolari robuste e controllate da muscoli, che è chiamata bocca dello stomaco (nn). La sua azione fa sì che il nettare e il miele siano trattenuti nella borsa melaria e lasciati passare nel ventricolo in modo controllato.
Una controversia secolare
Sulla funzione della bocca dello stomaco si è aperto, fin dalla sua identificazione alle fine dell’Ottocento, un interessante dibattito. Ne parla Snodgrass nel suo “The anatomy of the honey bee”, pubblicato nel 1910.
Il nettare contiene anche polline e si potrebbe supporre che nel rigurgitare il nettare l’ape operaia rigetti anche il polline. Tuttavia, il polline rappresenta un componente essenziale nella dieta alimentare delle api e si deve presumere che almeno una parte di esso contenuto nel nettare sia trattenuto e inviato al canale alimentare. Ai tempi di Snodgrass si riteneva che la bocca dello stomaco fosse l’apparato mediante il quale le api operaie selezionavano i grani di polline dal nettare inghiottendoli nello stomaco vero e proprio, lasciando nel contempo il nettare depositato nella borsa melaria, e che lo facessero proprio nel momento in cui erano dedite alla raccolta del nettare, cioè in volo. Ma non tutti convenivano, in primis Snodgrass stesso.
Innanzitutto, sosteneva Snodgrass, non è stato dimostrato che le api si nutrano di polline mentre raccolgono il nettare. Probabilmente non più polline è presente nel nettare di quanto se ne possa trovare nel miele. Inoltre, l’autore ammette di non aver trovato polline accumulato nella borsa melaria mentre, per finire, la bocca dello stomaco è ugualmente sviluppata nella regina e nei fuchi come lo è nelle operaie, ma né la regina né i fuchi raccolgono nettare.
Quando la borsa melaria è appena estratta da una ape operaia ed è subito sezionata è possibile vedere la bocca dello stomaco in azione. Le quattro labbra si aprono in modo ampio e tremolano spasmodicamente ruotando assieme e incuneandosi verso la parte posteriore del proventricolo. Tutto ciò potrebbe suggerire un’azione selettiva del polline dal nettare, ma potrebbe semplicemente essere l’ordinario processo con il quale il proventricolo garantisce il passaggio di una parte del nettare al ventricolo. Altresì le api non triturano il polline né con le loro mandibole né nel proventricolo, come invece sono in grado di fare altri insetti. In definitiva, bisognava ancora dimostrare, sosteneva Snodgrass nel 1910, che la bocca dello stomaco fosse in grado di separare il polline contenuto nel nettare e inviarlo al ventricolo. Tuttavia, In “L’ape e l’arnia” pubblicato nel 1981, è scritto chiaramente che la bocca dello stomaco ha lo specifico compito di selezionare il polline. Possibile che altre ricerche abbiano nel frattempo chiuso la controversia. Indagheremo meglio.
Ritorniamo all’anatomia della borsa melaria per completarne la descrizione. L’estremità posteriore del proventricolo si protende in una piega ad imbuto entro la parte anteriore del ventricolo, probabilmente agendo come una valvola (Vlv) per impedire il rigurgito dallo stomaco.
Nella storia
Una breve incursione nel testo: “Trattato completo di apicoltura” di E. Alphandéry, pubblicato in Italia nel 1935, ci riporta alle ipotesi sulla funzione della bocca dello stomaco facendoci scoprire che il tema, per quanto circoscritto, possa aver sollecitato agli inizi del Novecento, nel ristretto ambito degli specialisti, un interessante circuito di idee. Riferendosi alla teoria dello Schiemenz (siamo nel 1910), accettata da altri scienziati dell’epoca quali il Brunnich, l’autore dice di condividere i risultati dei lavori recenti (siamo intorno al 1930) di Bugnion che hanno mostrato come la bocca dello dell’ape non possa funzionare che in un senso e cioè dalla borsa melaria allo stomaco e non viceversa.
Possiamo, dunque, immaginare a grandi linee quale fosse la teoria dello Schiemenz, ma è utile valutarla nella sua interezza. “Quando l’ingluvie è piena di nettare, la pressione da esso esercitata mantiene le otto labbra della bocca (valvola) unite l’una contro l’altra. Provando l’ape il bisogno di far passare una goccia di nettare entro lo stomaco, contrae i muscoli di queste labbra, che si schiudono per abbassamento, producendo così la comunicazione tra l’ingluvie ed il ventricolo. Quando una giovane ape nutrice, dice Brunnich (Apiculture Nouvelle, 1010) vuol mangiare del polline per preparare il nutrimento per le larve, permette alle labbra della bocca dello stomaco di arrivare fino all’estremità dell’esofago (essendo la vescichetta del miele probabilmente vuota), poi le apre per lasciar entrare direttamente il polline nel ventricolo chilifero. Quando poi il polline è stato digerito e trasformato in chilo, l’ape nutrice agisce come prima: soltanto comprimendo il ventricolo chilifero, essa ne comprime anche il contenuto, che così fa passare direttamente nell’esofago per la bocca dello stomaco. Le setole che circondano le labbra di questa bocca, formano allora una specie di minuto filtro, che impedisce alle porzioni non digerite di polline di passare”.
E non mancano nel testo né gli schemi né le microfotografie.
Pur raccogliendo, le api, polline, acqua e propoli, ci siamo limitati a raccontare la sola raccolta del nettare. Dovremo ritornare sull’argomento. E la descrizione di come le api riescono a portare nell’alveare il polline ci riserverà sorprese, non fosse altro che per la sua complessità.
[Per questo articolo ci siamo avvalsi di alcuni testi: il dettagliatissimo lavoro pubblicato nel 1910 a Washington dal titolo: “The anatomy of the honey bee”, di R. E. Snodgrass, agente ed esperto del U. S. Department of Agriculture, dal quale abbiamo ricavato le immagini; il sempre necessario “L’ape e l’arnia” di Roy A. Gruot, pubblicato nel 1981 da Edagricole; il “Trattato completo di Apicoltura”, di E. Alphandéry, tradotto da A. Zappi Recordati, pubblicato nel 1935; “Flora apistica italiana”, di G. Ricciardelli D’Albore e L. Persano Oddo, pubblicato nel 1978 dall’Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Firenze; “L’ape – Forma e funzioni” di F. Frilli, R. Barbattini e R. Milani, Calderini Edagricole, Bologna, 2001 ].