Ma quanto è veloce un’ape!
24 chilometri all’ora, la velocità media di un’ape bottinatrice al ritorno e carica di nettare o di polline, con variazione modesta dai 21 ai 25 chilometri all’ora. 24 chilometri all’ora è anche la velocità limite del vento oltre la quale le api tendono a limitare drasticamente i voli.
Un termine di paragone: in meno di sette minuti dal Museo Malmerendi a Piazza del Popolo a Faenza!
Nell’immagine, la circonferenza rossa applicata alla città di Faenza delimita l’area di interesse delle api, 3 chilometri di raggio. Al centro, il parco del Museo Malmerendi.
Curioso notare il fatto che la velocità media di andata verso la fonte nutritizia dell’ape, non ancora appesantita dal carico, sia inferiore di 4 chilometri e si attesti a circa 20 chilometri all’ora, con una però notevole variazione, da un minimo di 11 a un massimo di 29 chilometri all’ora. Questo inaspettato dato potrebbe suggerire la possibilità che non sempre l’ape si diriga decisa e diretta verso la fonte nutritizia ma che si permetta qualche deviazione esplorativa. Comunque vada, i tempi dei voli di ritorno sono sempre più brevi di quelli di andata, nonostante il carico, con la sola eccezione che si ha quando la direzione del vento è contraria a quella dell’ape nel viaggio di ritorno.
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La supposizione appena fornita si apre ad una interessante vicenda che ha contrapposto, nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo sorso, ricercatori europei e americani e che si è conclusa, una prima volta, nel 1973 con l’assegnazione a Karl von Frisch del premio Nobel per le sue ricerche sulle forme simboliche di comunicazione delle api.
Nel 1967 un ricercatore americano, Adrian Wenner, mise in dubbio i risultati del lavoro di von Frisch e del suo gruppo. Dato che le api impiegano un tempo maggiore rispetto a quello che un volo diretto verso la fonte di cibo avrebbe richiesto, Wenner concluse che non era affatto da ritenersi certo che le api avessero ricevuto informazioni sulle coordinate da seguire nel loro volo. Non negava il ricorso alla danza, ma riteneva che, molto più semplicemente, servisse a spargere nella colonia l’odore dei fiori bottinati. Nel 2001 Wenner di nuovo ripropose la propria teoria, secondo cui la vista ha un ruolo secondario nell’identificazione della fonte di nettare, mentre prevalente è l’olfatto, e giunse a definire il linguaggio comune delle api come una fantasia di von Frisch e del suo gruppo di ricerca.
Il 12 maggio del 2005, su “Nature”, apparve il lavoro di ricercatori inglesi e tedeschi che poterono seguire il volo delle api con un radar di tipo armonico, applicando sul dorso delle api che seguivano la danza di una ape bottinatrice esploratrice un mini transponder. Volavano dritte secondo le indicazioni della danzatrice e, arrivate nel luogo della fonte, volteggiavano in cerchi concentrici fino ad identificare la fioritura grazie all’odore del nettare ricevuto dalla danzatrice. Con un gran fiuto, non avrebbero perso tempo a gironzolare attorno alla fonte puntiforme. Un secondo esperimento faceva da controllo del primo: spostando la fonte di nettare identificata e comunicata dalla perlustratrice, le api volavano seguendo con diligenza le informazioni ricevute.
Un altro elemento caratterizzante le capacità di volo delle api bottinatrici si presenta, in apparenza, come paradossale: velocità minima in condizioni di vento favorevole e, all’opposto, velocità massima con vento sfavorevole. Dall’osservazione risulta che con vento da dietro l’ape tende a ridurre il proprio sforzo e a sfruttare al meglio la spinta, mentre con il vento contro, nel tentativo di opporsi all’azione rallentante del vento, l’ape moltiplichi i propri sforzi.
[Da Roy A. Grout, “L’ape e l’arnia”, Edagricole, Bologna, 1981, pag. 113]