In bici per Faenza
Aggiornamenti 2020 (IV)
Via Silvio Pellico
Il percorso pedonale e ciclabile di Via Silvio Pellico è stato aperto all’utilizzo all’inizio del 2020, dopo impegnativi lavori di approntamento effettuati nel corso del 2019.
Tecnicamente, si tratta di un percorso promiscuo e ciclabile, e cioè di una pista che, nata per i pedoni, si è aperta in seguito al traffico delle biciclette.
In altre parole, è un itinerario pedonale in cui è consentito il traffico dei velocipedi, e il segnale verticale, posto all’inizio e alla fine della pista, lo indica in modo inequivocabile.
Altri cartelli, visti da posizioni opposte, segnalano che i velocipedi, ossia le biciclette, possono transitare in entrambi i sensi di marcia.
Verso le scuole Carchidio,
e dalle scuole Carchidio.
Considerazione uno
Di norma, i percorsi promiscui pedonali e ciclabili sono realizzati all’interno di parchi o di zone a traffico prevalentemente pedonale.
Possono anche essere realizzati ai lati della carreggiata su percorsi usualmente destinati ai pedoni e devono essere: indicati dalla apposita segnaletica, rialzati, oppure adeguatamente delimitati e protetti.
Questa possibilità è, però, concessa solo se la larghezza della strada non sia tale da permettere la realizzazione di una pista ciclabile e di un parallelo percorso pedonale, oppure se si pone la necessità di dare continuità alla rete ciclabile programmata.
Inoltre, nel luogo di realizzazione della pista promiscua non vi devono essere attività attrattrici di traffico pedonale quali itinerari commerciali e insediamenti ad alta densità abitativa.
Nessun dubbio che il luogo non sia ad alta densità abitativa, ma la presenza di una scuola, ad una delle due estremità del percorso promiscuo, potrebbe essere considerata una situazione in grado di attirare traffico pedonale intenso, quantomeno nei momenti di apertura e di chiusura delle attività scolastiche?
Considerazione due
Altresì, se è vero che i percorsi promiscui garantiscono un minimo di sicurezza ai ciclisti rispetto ai percorsi ciclabili su carreggiata stradale in promiscuo con i veicoli a motore, è altrettanto vero che nei paesi nord europei ciclisticamente avanzati l’esperienza e la pianificazione accurata consigliano la realizzazione di percorsi promiscui lungo la viabilità extraurbana.
Semplicemente perché la maggiore disponibilità di spazio garantisce una migliore visibilità e separazione dal traffico veicolare, e la presenza di un minor flusso di pedoni riduce al minimo le possibili condizioni di conflitto tra ciclisti e pedoni.
Considerazione tre
Il conflitto tra utenti è il principale svantaggio creato dalla realizzazione di percorsi promiscui in ambito urbano:
date le spesso ridotte dimensioni dei percorsi promiscui, il passaggio delle bicilette è rallentato e reso tortuoso e problematico;
tutt’altro che dimostrarsi un’alternativa veloce ed efficiente al traffico automobilistico,
il percorso promiscuo può, all’opposto, frenare la diffusione della bicicletta quale competitivo mezzo di trasporto urbano economico e veloce.
Inoltre, non avendo i ciclisti l’obbligo di utilizzare il percorso ciclopedonale poiché il Codice della Strada all’articolo n. 182 impone loro di “transitare sulle piste loro riservate solo quando esistono”, è legittimo immaginare un utilizzo del percorso inferiore alle aspettative.
Segmenti
Ma, secondo le nostre valutazioni, esiste un ulteriore fattore scarsamente attrattivo, se non dissuasivo, nei confronti dell’uso della bicicletta in città, ed è la frammentazione della rete ciclabile che, nel Comune di Faenza, può essere ritenuta una vera e propria regola, applicata con diligenza alla quasi totalità delle piste realizzate, anche a quelle recenti, come visto nei casi segnalati in precedenza.
E il nuovo percorso di Via S. Pellico non la infrange.
Inizia,
per terminare,
o, viceversa.
Eppure, nel Decreto Ministeriale 30 novembre 1999, n. 557, «Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili», il comma b dell’articolo 2 non lascia spazio a dubbi: “puntare all’attrattività, alla continuità ed alla riconoscibilità dell’itinerario ciclabile, privilegiando i percorsi più brevi, diretti e sicuri secondo i risultati di indagini sull’origine e la destinazione dell’utenza ciclistica”.
Rasi
Infine, da ultimo, ma non per importanza, il problema delle intersezioni a raso, che ovunque si devono caratterizzare per una elevata visibilità sia per gli automobilisti che per gli utenti del percorso promiscuo.
In questo ambito, solo una intersezione.
Ci chiediamo se la si potrebbe definire un modello di sicurezza.
Per taluni, addirittura, un esempio simile di intersezione potrebbe configurarsi più pericoloso dell’utilizzo della carreggiata stradale.
E, dunque, aggiungersi agli altri fattori che possono scoraggiare l’utilizzo della pista pedonale e ciclabile.
Ci stava quasi per sfuggire un argomento mai trattato fino ad ora: l’intersezione a raso, senza prevedere la priorità ai velocipedi in transito sulla pista pedonale e ciclabile, la frammenta in due porzioni.
Considerando che i ciclisti in transito sulla carreggiata stradale godono della precedenza … ma perché mai dovrebbero perdere tempo … ?