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I limiti elettromagnetici degli impianti di telefonia

I limiti elettromagnetici degli impianti di telefonia mobile non vanno innalzati

“I limiti non vanno innalzati. Chiediamo con forza alla Commissione Industria del Senato ed ai parlamentari tutti di dare voce alla ricerca e alla scienza, e non alle ragioni del potere economico, mettendo al primo posto la salute dei cittadini”

Legambiente, assieme a tante altre associazioni e comitati, continua l’iniziativa per impedire che la normativa italiana, che tutela più di altri paesi europei, venga modificata dagli attuali 6 volt per m addirittura a 61 V/m, come richiesto dai gestori delle telecomunicazioni per estendere la rete 5G.

Pubblichiamo di seguito la Piattaforma RETE 6 V/M che argomenta le ragioni di questa opposizione per difendere il diritto alla salute delle persone, e alcuni contributi di Legambiente.

 

1. RETE 6 V/M

Non esiste nessun motivo per innalzare il valore di attenzione per i campi elettromagnetici generati dalle alte frequenze se non quello economico da parte dei gestori delle telecomunicazioni che intendono, dopo aver acquistato le licenze per il 5G, risparmiare sui costi delle infrastrutture!

Ed é per questa ragione, e dopo che Associazioni e Comitati sono venuti a conoscenza di una proposta, da parte del Ministero dell’Industria e del Made in Italy, di portare i limiti in vigore per il settore delle telecomunicazioni oltre la soglia di rischio, che nasce la Rete 6V/m.

Per difendere il diritto alla salute delle persone.

A sostegno della proposta di innalzamento degli attuali limiti vi é uno studio del Politecnico di Milano, condotto per conto di Asstel, l’Associazione di categoria di Confindustria, che stima come, con l’attuale normativa, il 62% degli impianti risulterebbe non espandibile al 5G, il che comporterebbe, a livello nazionale, di dover reingegnerizzare o delocalizzare 27.900 impianti, con un esborso aggiuntivo di circa 4 miliardi di euro a carico degli Operatori radiomobili.

Questo, quindi, il vero motivo che spinge il settore delle telecomunicazioni a richiedere, ormai da anni, di aumentare i limiti espositivi fino a 61 V/m, valore stabilito a livello europeo per evitare il riscaldamento dei tessuti ma non per proteggere dagli effetti biologici avversi sugli organismi viventi, uomini, animali e piante.

Eppure, sono tanti i motivi per non aumentare i limiti di esposizione, compresi quelli tecnici di sviluppo della tecnologia 5G che, anche a detta delle stesse Arpa, é possibile attivare con gli attuali limiti purché si seguano criteri progettuali basati su un corretto dimensionamento e posizionamento degli impianti sul

territorio. Le Agenzie Ambientali, inoltre, sottolineano come l’avvento del 5G porti all’attenzione anche un altro problema, quello legato alla ”saturazione dello spazio elettromagnetico”: opinione condivisa fra i tecnici, infatti, é che le potenze dichiarate da parte dei gestori che per primi arrivano in un sito, vengano

massimizzate al fine di ”accaparrarsi” più spazio elettromagnetico possibile in vista di una eventuale futura implementazione di nuovi impianti, in una logica volta a limitare l’azione della concorrenza.

Inoltre, va ricordato che:

  • i limiti indicati dalla Commissione Europea sono indicati come valori da non superare, e non da raggiungere;
  • che tali valori, oggetto di analisi vecchie più di 25 anni, sono indicati solo ed esclusivamente sulla base degli effetti termici. Sul tema risulta molto interessante l’articolo scientifico pubblicato lo scorso 8 maggio 2023 da parte dell’|EEE — Institute of Electrical and Electronic Engineers (lstituto degli ingegneri elettrici ed elettronici), la più grande organizzazione al mondo nell’ambito dell’ingegneria elettrica ed elettronica e delle tecnologie dell’informazione — nel quale viene ribadito come il valore di 61 V/m si riferisca solo agli effetti termici, cioè al riscaldamento dei tessuti, e trascuri completamente gli ormai riconosciuti effetti biologici non termici, caratteristica per la quale alcune radiofrequenze vengono usate anche a scopo terapeutico;
  • che oggi esistono evidenze scientifiche adeguate sulla presenza di rischi sanitari, anche a bassi livelli di esposizione, i quali devono essere tenuti in considerazione per la salute degli abitanti, con particolare attenzione per donne in gravidanza, bambini, elettrosensibili, coloro che sono affetti da patologie, ma anche ai fini del mantenimento della biodiversità;
  • che i ”livelli di riferimento” di cui all’allegato III della Raccomandazione del Consiglio 1999/519/CE di 61 V/m per gli effetti termici, gli unici effetti considerati, risultano essere circa 10 volte più elevati, in termini di campo elettrico, dei 6 V/m previsti dal valore di attenzione vigente in Italia ma 100 volte più alti in termini di densità della potenza. È importante comprendere, quindi, che i 10 W/mq previsti dalla Raccomandazione Europea, se confrontati con gli 0,1 W/mq del nostro DPCM 8/7/2003 porterebbero ad un aumento dell’esposizione di 100 volte.

A questo si aggiunga che non esiste alcuna ragione normativa che costringa l’Italia ad adeguare i propri limiti di esposizione. La stessa Raccomandazione 1999/519/CE afferma che “gli Stati membri hanno facoltà, ai sensi del Trattato, di fornire un livello di protezione più elevato di quello di cui alla presente Raccomandazione“, specificando quindi che non esiste alcun obbligo di adeguamento agli standard europei.

Come non esiste neppure incompatibilità tra la normativa italiana e l’implementazione delle nuove tecnologie. Mentre ci sono, al contrario, “nuove” evidenze scientifiche che necessitano di essere prese in considerazione nel momento in cui si vuole rimettere mano alla normativa nazionale sul tema – la

legge 36/2001 – che oltre a tutelare la popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, cita per la prima volta il Principio di Precauzione, adottato nel codice dell’Ambiente solo nel 2006 e il Principio di Minimizzazione ALARA (As Low As Reasonably Achievable, il più basso ragionevolmente ottenibile .

Per tutti questi motivi, la Rete 6 V/m e tutti i suoi firmatari chiedono con forza che venga ritirato ogni tentativo di innalzamento dei limiti elettromagnetici. Un punto fermo che ci vede uniti e sul quale non intendiamo fare un solo passo indietro.

 

Per adesioni energia@legambiente.it

ADERENTI
Associazioni e Comitati
Legambiente, Lettelariamente APS, Comitato cittadini Ciampino no Antenna, ISDE Medici per l’Ambiente, Associazione Nazionale Riconoscimento MCS OdV, Gruppo Stop 5G Emilia, Associazione Atto Primo Salute Ambiente Cultura ODV, Associazione La Libellula, Gruppo per l’ambiente Valle del Serchio

Personalità
Fiorella Belpoggi, Direttrice Scientifica Emerita dell’Istituto Ramazzini,
Comitato Scientifico di ISDE Medici per l’Ambiente, Comitato Etico Scientifico
di Europa Verde, Consiglio Esecutivo del Collegium Ramazzini

 

2. Limiti elettromagnetici non vanno innalzati
Legambiente – Comunicato Stampa – 4 Marzo 2022

Associazioni e Comitati rispondono alla richiesta di Assotelecomunicazioni di portare i valori di esposizione ai campi elettromagnetici da 6 V/m a 61 V/m.

“I limiti non vanno innalzati. Chiediamo con forza alla Commissione Industria del Senato ed ai parlamentari tutti di dare voce alla ricerca e alla scienza, e non alle ragioni del potere economico, mettendo al primo posto la salute dei cittadini”

In Italia non si contano più i tentativi, da parte delle imprese delle comunicazioni, di innalzamento dei limiti di legge di esposizione ai campi elettromagnetici, con la scusa di cogliere appieno le potenzialità dello sviluppo della tecnologia 5G. L’ultima richiesta è quella presentata il 22 febbraio da Assotelecomunicazioni alla X Commissione permanente del Senato, nell’ambito della discussione sul decreto Concorrenza (AS 2469), per l’innalzamento dei valori di esposizione elettromagnetici da 6 V/m a 61 V/m, che nel documento motiva: “nello studio del Politecnico di Milano per Asstel che ha stimato, in presenza degli attuali limiti, la necessità di 27.900 interventi aggiuntivi, sia in termini di reingegnerizzazione di siti esistenti, sia di siti nuovi, con un esborso incrementale per questo motivo di circa 4.0 miliardi di euro a carico degli Operatori radiomobili”.

Associazioni, enti, comitati e cittadini, si appellano alla Commissione Industria del Senato affinché rigetti la richiesta, definendo una volta per tutta la sua posizione contraria a riguardo, considerandola una minaccia per la salute pubblica e la biodiversità.

“Nessuna ragione tecnica o economica può giustificare un rischio di salute per la popolazione e la biodiversità. – hanno commentato i firmatari – Innalzare il limite portandolo a 61 V/m, significa ignorare le ragioni sanitarie che dimostrano la presenza di effetti biologici non termici, anche molto gravi, fino a forme tumorali, causati dalle frequenze già in uso. Evidenze che fotografa anche l’ultima ricerca Health impact of 5G dell’Istituto Ramazzini pubblicata dal Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo. Per questo chiediamo con forza alla Commissione Industria del Senato e ai parlamentari tutti di dare voce alla ricerca e alla scienza, e non alle ragioni del potere economico, mettendo al primo posto la salute dei cittadini”.

Diverse le ragioni che spiegano la forte e decisa opposizione a quanto richiesto da Assotelecomunicazioni.

In primo luogo, che i “livelli di riferimento” di cui all’allegato III della Raccomandazione del Consiglio 1999/519/CE di 61 V/m per gli effetti termici, gli unici effetti considerati, risultano essere circa 10 volte più elevati, in termini di campo elettrico dai 6 V/m previsti dal valore di attenzione vigente in Italia, e 100 volte più alti in termini di densità della potenza. Va precisato, quindi, che i 10 W/mq previsti dalla Raccomandazione Europea vanno confrontati con gli 0,1 W/mq del nostro DPCM 8/7/2003. Inoltre, non risulta corretta l’affermazione di Assotelecomunicazioni secondo la quale, per la banda di frequenza a 3.6 GHz, le raccomandazioni internazionali prevedono un limite massimo di 61 V/m contro i 6 V/m italiani. Infatti, il limite vigente sul territorio italiano in quella banda di frequenza è di 40 V/m mentre i 6 V/m rappresentano il valore di attenzione, ossia il tetto massimo di esposizione riferito specificamente ai luoghi a permanenza non inferiore alle 4 ore giornaliere. Per di più non è da trascurare l’anomalia introdotta dalla legge n. 221/2012, che porta già ad un aumento surrettizio dei parametri di esposizione grazie alla misura dei valori dei campi elettromagnetici, da confrontare con il valore di attenzione, come valore medio sulle 24 ore e non più come valore medio su 6 minuti.

Si ricorda alla Commissione del Senato e ad Assotelecomunicazioni, che la stessa Raccomandazione 1999/519/CE afferma che “gli Stati membri hanno facoltà, ai sensi del Trattato, di fornire un livello di protezione più elevato di quello di cui alla presente Raccomandazione”, specificando quindi che non esiste alcun obbligo di adeguamento agli standard europei. Come non esiste neanche un’incompatibilità tra la normativa italiana e l’implementazione delle nuove tecnologie. Tanto che le stesse Agenzie per l’Ambiente ritengono che “la realizzazione del 5G possa avvenire con il mantenimento degli attuali limiti di legge attraverso la definizione di criteri progettuali efficienti come, ad esempio, il corretto dimensionamento e posizionamento degli impianti sul territorio”.

I firmatari:  Stefano Ciafani, presidente Legambiente – Fausto Bersani Greggio – Federconsumatori – ISDE Italia – Pietro Comba, Collegium Ramazzini – Vanda Bonardo, presidente Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi Italia – Vincenzo Vita, presidente Associazione rinnovamento della sinistra – Dott.ssa Maria Gioia Tomassetti, presidente Comitato Cittadino Raviscanina – Paolo Rava, ANAB Associazione Nazionale Architettura Bioecologica – Gemma Reggimenti, presidente del Comitato Stop elettrosmog Chieti – Simona La Tona, presidente Comitato Cittadini Ciampino No Antenna – Paolo Orio, Associazione Italiana Elettrosensibili – Clara Lidia Settimo, gruppo Facebook “Stop sperimentazione 5G” – Andrea Piccirilli – CPOEAO Comitato prevenzione onde elettromagnetiche Aosta – Lucietta Chiafalà, Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e Ambientale (AMICA-ODV) – Antonella Pecchini, Comitato via passo della cisa di Parma – Sergio Luvisetto, Associazione Mira 2030 – Giovanni Mengoli, presidente Villaggio del Fanciullo Bologna – Cristina Fazari, Associazione Amici del viale della pace Aosta – Bruno Bonetto, presidente Comitato UNITI in Val Noce – Giuseppe Teodoro, vicepresidente Ecoland – Angela Donati, Stop 5G Emilia – Erika Tedino, Associazione Atto Primo Salute Ambiente Cultura ODV – Massimo Brundisini, Comitato Laudato Sì Bologna – Sabrina Neri, Atto Primo Elettrosmog Lucca

 

3. ONDA SU ONDA: ELETTROSMOG E 5G
Legambiente – Luglio 2020

Premessa
L’emergenza Covid 19 ha fatto emergere con forza un problema cronico dell’Italia: il digital divide. La disparità nelle possibilità di accesso ai servizi telematici rende impossibile a numerose persone di lavorare in smart working, fare video lezioni scolastiche o universitarie da casa, partecipare più in generale alla vita sociale, economica e democratica del Paese, mettendo in evidenza disuguaglianze tra territori e persone che rischiano di diventare incolmabili. La diffusione della banda ultra larga su tutto il territorio nazionale è

fondamentale per colmare questa lacuna intollerabile. A tal fine è fondamentale procedere allo sviluppo della banda ultra larga, mettendo in campo tutti le precauzioni necessarie per minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici relativi alla tecnologia 5G.

Gli allarmi sull’inquinamento elettromagnetico
Il fenomeno comunemente definito ”inquinamento elettromagnetico” o ”elettrosmog”, che non trae origine dalla letteratura scientifica specialistica, è legato alla generazione di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici artificiali, cioè non attribuibili al naturale fondo terrestre o ad eventi naturali (quale ad esempio può essere il campo elettrico generato da un fulmine), ma prodotti da impianti realizzati per trasmettere informazioni attraverso la propagazione di onde elettromagnetiche (impianti radio TV e per telefonia mobile), da impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica dalle centrali di produzione fino all’utilizzatore in ambiente urbano (elettrodotti), da apparati per applicazioni biomedicali, da impianti per lavorazioni industriali, nonché da tutti quei dispositivi il cui funzionamento è subordinato a un’alimentazione di rete elettrica (tipico esempio sono gli elettrodomestici).

Lo sviluppo delle telecomunicazioni sta creando grande interesse in tutti i settori per la possibilità di nuove applicazioni, ma sta anche aumentando la preoccupazione per gli effetti non ancora del tutto noti sulla salute, al punto che a livello sia nazionale sia internazionale c’è una mobilitazione crescente contro l’introduzione del 5G.

Gli scenari che si apriranno con lo sviluppo del 5G modificheranno probabilmente il livello di esposizione complessivo della popolazione a seguito di importanti cambiamenti nell’architettura della rete. È  importante, quindi, adottare un approccio fortemente cautelativo, in linea con quanto messo in evidenza dalla ricerca scientifica. Date le forti preoccupazioni della popolazione, le istituzioni competenti devono implementare azioni di minimizzazione dell’esposizione e di informazione e sensibilizzazione attraverso un’adeguata comunicazione del rischio.

La Monografia 102 del 2013 dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione definisce i campi elettromagnetici a radiofrequenza come ”possibilmente cancerogeni per l’uomo” sulla base di una numerosa serie di studi sul rischio di tumore cerebrale per gli utilizzatori di telefoni cellulari. La IARC ritiene ”credibile” questa relazione di causa e effetto, ma non si può per ora escludere il ruolo di spiegazioni alternative.

Dopo questo lavoro sono stati condotti numerosi studi, tra cui i due recenti esperimenti su animali di laboratorio, svolti National Toxicology Program negli USA e dall’istituto Ramazzini di Bologna presso i laboratori di Bentivoglio (BO), che hanno entrambi mostrato eccessi di rischio per i tumori del sistema nervoso a livello cerebrale e cardiaco, da qui la necessità della IARC che ha incluso fra le sue priorità per il 2020-24 una nuova valutazione del rischio di cancro associato ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.

In particolare, i ricercatori dell’Istituto Ramazzini hanno presentato i risultati della sperimentazione animale, che prende in esame lo standard 3G, da loro condotta sottolineando che i risultati ottenuti sono congruenti con quelli dello studio del National Toxicology Program (NTP) e hanno auspicato che anche i produttori di telefoni cellulari facciano i passi adeguati all’adozione di un atteggiamento prudenziale e per ridurre l’esposizione della popolazione. A luglio dello scorso anno, è stato pubblicato il rapporto ISTISAN 19/11 ”Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, in cui si è inteso presentare il quadro delle conoscenze attuali. Tale rapporto si è limitato a valutare la bibliografia sui campi elettromagnetici (CEIVI) fino al 2017, quindi sia lo studio dell’lstituto Ramazzini che quello dell’NTP non sono stati valutati o per lo meno non sono entrati nella review della letteratura complessiva.

I risultati dei recenti studi sperimentali, che confermano una tendenza a mostrare criticità ad alte esposizioni, comparabili a quelle permesse nei Paesi Europei, per un elevato numero di ore (come emerso dal recente studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna sui 50 V/m per 19 ore, dalla vita embrionale fino a morte spontanea), insieme agli annunci dell’uscita della nuova tecnologia 5G, hanno creato un forte allarme nella popolazione. Anche in Italia, così come in altri Paesi, si sono formati movimenti e associazioni per lo stop al 5G.

Le richieste di Legambiente
All’inizio del 2019, il Parlamento italiano, attraverso la IX Commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni), ha avviato un’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione al 5G e alla gestione dei big data. Nel febbraio 2019, vi è stata una specifica audizione, nel corso della quale Legambiente ha chiesto l’applicazione del principio di precauzione e l’adozione di azioni volte a tutelare la popolazione esposta, soprattutto i più vulnerabili.

In particolare si ricorda che l’applicazione del principio di precauzione, al quale in Europa si richiamano esplicitamente sia l’Agenzia Europea per l’Ambiente di Copenaghen, sia il Centro Europeo Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Bonn, prevede di non differire le misure di riduzione dell’esposizione umana fino al completamento di nuovi studi e ricerche che riducano le attuali incertezze e lacune delle conoscenze. In attesa di nuovi ricerche per colmare queste lacune è necessario perseguire la riduzione delle esposizioni da una parte mantenendo gli attuali i limiti di legge italiani, tra i più bassi in

Europa, e dall’altra rendendo omogenei i livelli di esposizione nel territorio, evitando che gruppi di residenti in determinate aree esperiscano livelli di esposizione particolarmente elevati, anche attraverso una corretta pianificazione delle stazioni radio base a cura dei Comuni.

Da qui 5 le richieste di Legambiente:

  1. vista la già accertata pericolosità (alte esposizioni per lunghi intervalli di tempo) delle frequenze finora utilizzate per la telefonia mobile, simili a due di quelle che verranno utilizzate per il 5G, e cioè 700 MHz e 3.600 MHZ, si mantengano tassativamente i valori di attenzione cautelativi per i valori di campo elettrico di 6 V/m, dato che negli studi sperimentali a questi livelli di inquinamento elettromagnetico non sono stati osservati effetti avversi;
  2. sia revisionato l’art. 14 del Decreto Sviluppo ”Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” che impone la misurazione dei campi elettromagnetici sulla media di 24 ore invece sulla media dei 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico;
  3. si attivi una ricerca indipendente, epidemiologica e sperimentale, sulle onde millimetriche del 5G a 26 GHz (onde millimetriche) finalizzata ad approfondire i possibili impatti sulla salute. La ricerca in laboratorio deve essere collegata in modo organico al contestuale sviluppo dei monitoraggi per individuare popolazioni residenti in aree a diversi livelli di esposizione, rilevando sia i dati prodotti dai flussi informativi sanitari disponibili a livello microgeografico, sia quelli prodotti dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta, distinguendo gli effetti a lungo e breve termine, con particolare attenzione alle malattie di bambini e adolescenti;
  4. si promuova presso i Comuni l’adozione del regolamento per la localizzazione delle antenne come strumento di pianificazione e minimizzazione delle esposizioni;
  5. si prevedano aree WiFi free negli spazi pubblici in modo da evitare esposizioni passive non volute, soprattutto a carico dei soggetti elettrosensibili.

I regolamenti comunali per minimizzare l’esposizione
Gli impianti di telecomunicazione sono aumentati nel tempo, ma è anche vero che l’intensità dei segnali è diminuita passando dai sistemi analogici a quelli digitali. Le reti 5G rappresentano un’ulteriore evoluzione della tecnologia e andranno a modificare anche le modalità di utilizzo delle radiofrequenze, dato che sicuramente le emittenti aumenteranno numericamente anche per le molteplicità delle applicazioni. L’introduzione della tecnologia 5G potrà, quindi, portare a scenari di esposizione molto complessi, con livelli di campo fortemente variabili nel tempo e nello spazio e nell’uso delle risorse delle bande di frequenza.

Le preoccupazioni dei cittadini hanno portato alcuni sindaci al rifiuto della sperimentazione del 5G nel loro territorio. Legambiente é favorevole allo sviluppo tecnologico, tenendo però in considerazione le preoccupazioni espresse dalla comunità scientifica in tema di nuovi standard di telecomunicazione. Come da DNA associativo, il nostro compito deve essere quello di fornire ai cittadini ed amministrazioni informazioni scientifiche corrette e proposte tecnicamente e giuridicamente percorribili. Da tempo,

infatti, sulla tecnologia 5G circolano informazioni spesso non veritiere che alimentano uno stato di incertezza e timore (basti pensare alle fake news sulle correlazioni tra 5G e Covid 19 oXylella).

La Legge n. 36/2001 ossia la Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, stabilisce all’art.8 quali sono le competenze in materia di regioni, province e comuni. In particolare, al comma 6, dello stesso articolo, prevede che ”i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici“.

Questo significa che ai comuni chiediamo la piena attuazione dell’art. 8 comma 6 della Legge n. 36/2001, ossia la stesura di un regolamento e/o di un piano di installazione comunale che abbiano come finalità quella di minimizzare l’esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici, applicando cosi il principio di precauzione. Un’ordinanza sindacale che escluda categoricamente l’installazione di antenne 5G sul territorio comunale, basandosi solo sul richiamo del principio di precauzione, è un atto velleitario e

giuridicamente vulnerabile, che ha buone possibilità di venire annullato dal Giudice amministrativo.

Nella stesura dei piani comunali di installazione le ARPA regionali danno un contributo importante, ossia quello di monitorare i livelli di esposizione della popolazione e fornire indicazioni utili sul livello di campo elettrico di fondo presente nei comuni. A tal proposito si ricorda che il Dpcm n. 199/2003 prevede come limite di campo elettrico 6 V/m per le alte frequenze (ossia quelle comprese fra 100 kHz e 300 Ghz), molto più basso di quello previsto dagli altri Paesi europei.

Per l’elaborazione dei regolamenti e/o piani di installazione comunali occorre sapere anche cosa prevedono le leggi regionali, in attuazione dell’art. 8 della Legge quadro n.36/2001. In allegato al presente position paper trovate il Regolamento della Regione Puglia n. 14/2006, un importante punto di riferimento per capire come si elabora un piano comunale di installazione.

Le altre fonti di elettrosmog
Quando si parla di elettrosmog, e bene ricordare che e sbagliato concentrarsi solo sul 5G perché le fonti sono molteplici.

La fonte più sottovalutata è sicuramente l’uso dei telefoni cellulari nella vita quotidiana.

Legambiente si impegnerà anche a sensibilizzare i cittadini anche su come limitare l’esposizione delle onde elettromagnetiche negli ambienti domestici. L’inquinamento elettromagnetico infatti cresce anche tra le mura domestiche, grazie a modem, tablet, assistenti vocali e ora anche gli elettrodomestici connessi. Lo sviluppo della tecnologia IoT (Internet of things) avrà come risultato un aumento dei dispositivi wireless, ossia di ulteriori sorgenti di campi elettromagnetici, rispetto a quelle attualmente esistenti. Tra i possibili

dispositivi Wi-fi di uso domestico, quelli più critici dal punto di vista di una prolungata esposizione sono gli hotspot e i router wireless, i dispositivi bluetooth, gli smartphone e i comuni notebook.

 

Allegati
   Regione Puglia – Regolamento Regionale 14 Settembre 2006 n. 14

 

I limiti elettromagnetici degli impianti di telefonia ultima modifica: 2023-06-29T18:20:37+00:00 da Giorgio Della Valle

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