Forlì, 16 marzo 2024 Comunicato stampa
C’è Puzza di Gas
In Emilia-Romagna la quarta tappa della campagna nazionale di Legambiente “C’è Puzza di Gas” che ha acceso i riflettori sulla pericolosità della dipendenza da fonti fossili
La regione si è candidata a diventare uno dei principali poli di stoccaggio e smistamento di gas metano, uno dei peggiori gas climalterante esistenti
Legambiente: “Serve un’inversione di rotta. Puntare sulle fossili per garantire l’energia che serve alla Regione, al Paese e potenzialmente anche all’Europa, è un errore dal punto di vista climatico e geopolitico. La Regione aumenti l’impegno nelle rinnovabili”
Il 16 marzo scorso a Forlì in piazza Saffi per dire di no alla realizzazione di nuove infrastrutture fossili, come la dorsale Adriatica di SNAM e il Rigassificatore di Ravenna, e per chiedere norme più stringenti sulle emissioni di metano nel settore energetico
“No alle fonti fossili in Emilia-Romagna, no alla realizzazione di nuove infrastrutture come la dorsale Adriatica di SNAM e il Rigassificatore di Ravenna. Serve, invece, un maggior impegno verso le rinnovabili e un futuro energetico davvero sostenibile”. È questo il messaggio che Legambiente lancia oggi in occasione del presidio organizzato a Forlì, presso piazzo Saffi, nell’ambito della seconda edizione della campagna nazionale “C’è puzza di gas” che fa tappa in Emilia-Romagna. Obiettivo della campagna, promossa da Legambiente e sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF), è quello di accendere riflettori sulla pericolosità della dipendenza da fonti fossili come quella da metano, uno dei peggiori gas climalterante esistenti con un impatto fino a 86 volte più climalterante di quello della CO2. Un tema che porta in primo piano proprio in Emilia-Romagna, candidata a diventare uno dei principali hub del gas fossile non solo d’Italia, ma potenzialmente anche d’Europa. In questa regione, denuncia Legambiente, ad oggi sussiste una forte dipendenza da fonti fossili a discapito delle rinnovabili. Una scelta anacronistica su cui l’associazione ambientalista chiede un’inversione di rotta e un impegno da parte dell’Emilia-Romagna ad accelerare nella diffusione delle rinnovabili.
Le fonti fossili in Emilia-Romagna: Il territorio ospita tutte le infrastrutture che compongono la filiera del gas: pozzi di estrazione, gasdotti, centrali di stoccaggio e prossimamente anche un rigassificatore. Centinaia di infrastrutture che sono in linea con il livello di consumo di gas fossile, che con una media di 10 miliardi di metri cubi l’anno, la rendono la seconda regione con i consumi più alti dopo la Lombardia con livelli maggiori di interi Paesi come l’Austria o della Repubblica Ceca, ed equiparabili a quelli dell’Ungheria. La Regione, infatti, utilizza un settimo del gas fossile consumato in Italia e il comparto termoelettrico è il principale protagonista coprendo nel 2022 il 76% della produzione totale: nel 2022 sono stati prodotti circa 19,3 TWh di elettricità su 22,7 TWh di produzione totale utilizzando gas fossile.
L’Emilia Romagna è anche tra le regioni con i più alti livelli di produzione di idrocarburi in Italia, circa 0,8 miliardi di metri cubi tra terra e mare nel 2023: in totale, la superficie occupata da attività connesse alla produzione, ricerca e coltivazione di idrocarburi è di circa 4500 kmq, simile all’estensione del Molise, suddivisi in 774 pozzi tra stoccaggio e produzione di idrocarburi distribuiti su 55 concessioni di coltivazione su terra e mare, 11 permessi di ricerca, e 5 concessioni di stoccaggio. Il petrolio e il gas prodotti vengono trattati in ben 25 impianti di trattamento e raccolta di idrocarburi. Ma ancora non basta. Dal 2020, tra progetti approvati e presentati, è stata fatta istanza su quattro infrastrutture per la messa in produzione di pozzi, nuove perforazioni o per l’installazione di nuove piattaforme; progetti che si aggiungono a 4 istanze di concessione di coltivazione e 9 istanze per permessi di ricerca tra terra e mare per una superficie totale di circa 2100 kmq.
Produzione e ricerca di idrocarburi che è strettamente connessa alle attività di stoccaggio nei pozzi ormai esauriti, ben 181, che oggi vengono utilizzati come depositi per il gas fossile attraverso 5 impianti di stoccaggio con alcuni tra i più grandi d’Italia come quello di Minerbio.
Infine, l’Emilia-Romagna, oltre ad ospitare una fitta rete di gasdotti, ospita due centrali di compressione a Minerbio e Poggio Renatico che si occupano di spingere il gas proveniente da diverse fonti all’interno della rete nazionale. La centrale di compressione di Minerbio potrebbe vedere un ampliamento della sua funzione con la realizzazione della Dorsale Adriatica SNAM Massafra-Minerbio, un gasdotto che collegherebbe la Puglia e l’Emilia-Romagna per spostare il gas verso nord e che vede nell’impianto di Minerbio il punto di approdo. Il tratto di gasdotto da Sulmona a Minerbio in particolare svolge un ruolo centrale nella strategia del Governo di trasformare l’Italia in un hub del gas per le importazioni europee.
Alla rete di gasdotti e infrastrutture per il trasporto si aggiungerà l’impianto di rigassificazione di Ravenna con una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l’anno, il quale alla luce dell’articolo 5 del Decreto-legge n.50 del 17 maggio sta godendo di procedure autorizzative accelerate. Nonostante l’infrastruttura sia stata presentata come una misura per far fronte ad una situazione emergenziale e la messa in funzione era prevista per inizio 2024, l’effettiva realizzazione dell’opera dovrebbe essere ultimata nel 2025, a tre anni dallo scoppio dell’emergenza energetica.
“La nostra Regione dovrebbe puntare maggiormente sulle rinnovabili, ad esempio spingendo per la realizzazione dei due parchi eolici offshore previsti lungo la costa con lo stesso impegno che ha posto per la realizzazione del rigassificatore – commenta Francesco Occhipinti, direttore di Legambiente Emilia Romagna – Assistiamo invece alla passività delle amministrazioni locali che hanno autorizzato la realizzazione del gasdotto Linea Adriatica senza informare adeguatamente la popolazione dei territori coinvolti e senza porsi il problema della sicurezza e danno ambientale. Insieme ad altre associazioni e comitati diciamo no a quest’opera inutile e dannosa e chiediamo alle amministrazioni tutte di adoperarsi perché le perdite lungo la rete siano ridotte al minimo”.
Perché diciamo no alla realizzazione di nuove infrastrutture
Il settore energetico è responsabile per un quarto delle emissioni totali di metano, in quanto lungo l’intera filiera del gas fossile ci sono perdite e rilasci volontari. Queste si verificano ad esempio nei pozzi di estrazione, nei gasdotti, nelle centrali di compressione, nei centri di stoccaggio e nei rigassificatori. Un enorme spreco di risorse e un danno per il clima, stimati da alcuni studi tra i 3,2 e i 3,9 mld di metri cubi per le infrastrutture che importano gas verso l’Italia.
Senza il gasdotto Linea Adriatica la rete italiana ha già una capacità di 105 mld mc di metano; il nostro Paese al 2024 è già molto vicino all’obiettivo di riduzione dei consumi di 60 mld di metri cubi al 2030. Nuove linee il cui costo si ammortizza in 25 anni, legandoci mani e piedi al gas fossile per il prossimo quarto di secolo, e nel caso poi l’infrastruttura non fosse utilizzata, regalandoci un’opera inutile e impattante. Già perché la realizzazione del gasdotto comporta lo stravolgimento di intere aree di appennino con abbattimento di alberi, realizzazione di strade di servizio, escavazioni per la posa delle tubazioni, che per altro sarebbero posti in alcuni punti a 20 metri dalle abitazioni, in territori ad alto rischio sismico.
Luci e ombre del regolamento europeo sulle emissioni di metano.
In occasione della tappa in Emilia Romagna della campagna C’è puzza di gas, Legambiente è tornata anche sul tema del regolamento europeo sulle emissioni di metano. A dicembre 2023 il Consiglio, il Parlamento e la Commissione Europea hanno trovato un accordo nell’ambito dei negoziati del Trialogue per il Regolamento Europeo sulle emissioni di metano. Nonostante il Regolamento rappresenti un’importante passo in avanti, prevede delle tempistiche troppo dilatate e non interviene in maniera sufficientemente ambiziosa. Prima del 2030 non verranno introdotti standard sulle importazioni di gas. Standard che se applicati immediatamente potrebbero garantire un risparmio di 90 miliardi di metri cubi di gas, pari a 54 miliardi di euro l’anno evitando il 30% delle emissioni globali dal settore del gas e del petrolio. L’introduzione di questi standard dopo il 2030 è in pieno conflitto con gli obiettivi fissati nell’ambito della Global Methane Pledge, oltre che un’enorme occasione persa in termini di risparmio di risorse. A queste si aggiunge un diffuso ricorso alle eccezioni e l’intenzione di scaricare i costi dell’implementazione del regolamento sulla cittadinanza.
“Sebbene in Europa sia in discussione e in attesa di approvazione il nuovo regolamento sul tema, il compromesso che sembra essere raggiunto non è sufficientemente ambizioso se consideriamo la gravità della crisi climatica e le potenzialità di mitigazione legate al contenimento delle emissioni di metano nella filiera delle fossili. Che ricordiamo essere considerato dall’IPCC il terzo strumento per efficacia, dopo solare ed eolico, nel raggiungimento è urgente l’introduzione di standard più ambiziosi non solo per le infrastrutture esistente e per quelle che il Governo ha deciso di realizzare candidando questo Paese a diventare l’hub del gas per l’Europa, ma anche per quelle legate alle importazioni che condanneranno il nostro Paese ad una maggiore dipendenza dal gas” dichiara Katiuscia Eroe, Responsabile Energia di Legambiente. “Per tutte queste ragioni chiediamo che l’Italia svolga un ruolo importante, non solo recependo in tempi brevi il nuovo Regolamento, ma anche inserendo normative e obiettivi ambiziosi di tutela del clima e delle bollette dei cittadini”.
Al presidio in Piazza Saffi hanno partecipato: RECA, Fridays for Future, Parents for Future, WWF, Comitato No Tubo, Europa Verde, Per il Clima Fuori del Fossile
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