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Agassiz, ovverossia l’Era Glaciale.

Agassiz, ovverossia l’Era Glaciale.

Il “discorso di Neuchâtel”

Il 24 Giugno del 1837, a Neuchâtel, durante l’annuale riunione della Società Svizzera di Scienze Naturali, Jean Louis-Rodolphe Agassiz è atteso per l’annunciata conferenza sui pesci fossili.
Ma sbalordisce tutti i presenti con una appassionata dissertazione sul modello glaciale, coniando nell’occasione il termine Eiszeit, ossia «era glaciale».
Nella lunga storia della Terra, racconta Agassiz, molto più estesa di quanto si credesse, si ebbe un periodo di intenso freddo: estesi ghiacciai ricoprirono il suolo terrestre ed i mari, lasciando tracce della loro presenza.
In un testo di qualche anno successivo, Etudes sur les glaciers, Agassiz descrisse questo evento con un linguaggio forse non proprio scientifico, ma sicuramente divertente:
«Lo sviluppo di queste enormi lastre di ghiaccio deve aver portato alla distruzione di tutta la vita organica sulla Terra. Il territorio dell’Europa, in precedenza ricoperto di vegetazione tropicale e abitato da branchi di giganteschi elefanti, di immensi ippopotami e di enormi carnivori, fu improvvisamente sepolto sotto una vasta distesa di ghiaccio che copriva senza distinzione pianure, laghi, mari e altipiani. Seguì il silenzio della morte (…) le fonti si inaridirono, i corsi d’acqua smisero di correre, e i raggi di Sole che si levavano su quella sponda gelata (…) erano accolti soltanto dal sibilo dei venti settentrionali e dal rombo dei crepacci che si aprivano su quell’immenso oceano di ghiaccio».
L’idea suscita scalpore, ma non convince.

Per il Giura
Agassiz, però, non si dà per sconfitto: mosso da un incontenibile entusiasmo e sicuro che gli indizi da lui trovati e studiati sulle montagne possano essere convincenti per chiunque, trascina i riluttanti membri della Società Svizzera in una escursione sulle montagne del Giura, mostra le scalfitture regolari presenti su rocce non friabili, espone con fervore la sua teoria, ma i risultati sono scarsi. 

Sul ghiacciaio dell’Aar

Nonostante la sua teoria sia accolta con estremo scetticismo dal mondo academico, Agassiz prosegue nella ricerca di prove inoppugnabili e, a questo scopo, impianta una piccola stazione di osservazione sul ghiacciaio dell’Aar per misurare il movimento del ghiacciaio tramite l’inserimento di paletti. Con sua sorpresa, le osservazioni prolungatesi per tre anni mostrano che il ghiacciaio si muove più rapidamente di quanto immaginasse e che è in grado di trascinare con sé macigni enormi.

Copertura di ghiaccio
Una delle difficoltà incontrate dagli scienziati dell’epoca era riuscire ad immaginare ghiacciai delle dimensioni richieste dalla teoria di Agassiz: sempre più tracce dell’antica presenza di giganteschi ghiacciai sopra l’Europa verranno divulgate negli anni successivi e la scoperta che la Groenlandia è interamente nascosta sotto uno strato spesso e continuo di ghiaccio sarà fatta solo nel 1852.
Negli anni successivi Agassiz emigra negli Stati Uniti, e le sempre più numerose prove a favore della sua tesi lo porteranno ad esasperarne le conseguenze, arrivando ad ipotizzare un globo  ricoperto di ghiacci con periodicità e ignorando una precisa regola: se mai eventi simili fossero avvenuti, la riflessione della luce solare da parte della coltre di ghiaccio sarebbe stata tale da impedire alla Terra l’assorbimento di calore necessario alla sua deglaciazione.

Campo catastrofista
La versione di Agassiz del modello dell’era glaciale si colloca a pieno titolo nel campo catastrofista, e quell’«improvvisamente» lo mette in risalto e lo collega direttamente alla teoria «fissista» o delle «catastrofi» formulata da George Cuvier nella sua opera maggiore, Ricerche sulle ossa fossili, del 1812:
«La vita è dunque spesso stata turbata sulla Terra da eventi terribili (…) Innumerevoli esseri viventi sono state vittime di quei cataclismi; distrutti dai diluvi, lasciati a secco sul fondo dei mari improvvisamente  sollevati; le loro stesse razze sono scomparse per sempre e non hanno lasciato nel mondo che qualche frammento appena riconoscibile dal naturalista».


In fondo, una versione scientifica del racconto biblico del Diluvio concepito, allora, quale unico fenomeno di perturbazione del creato, sollecitata dalla necessità di dare una spiegazione ad un “fatto” che accomunava tutti i ricercatori di allora: il ritrovamento nelle rocce di numerosi resti di animali con caratteristiche diverse da quelle degli esseri viventi noti.
In sintesi, la teoria formulata da Cuvier affermava che alcune specie, di cui non si hanno più i discendenti viventi, si sono effettivamente estinte a causa di eventi radicali di sconvolgimento della superficie terrestre che, in più occasioni, hanno sconvolto l’intero pianeta.
Ma non era l’unica spiegazione possibile.

Campo uniformista
Tra il 1830 ed il 1833 furono pubblicati I Principi di geologia dello studioso scozzese Charles Lyell che introducevano una concezione opposta a quella catastrofista nella spiegazione dei fenomeni che hanno nel corso del tempo modellato la superficie della Terra.


Secondo questa teoria per descrivere l’aspetto attuale del globo non è necessario immaginare eventi di grande e subitanea violenza, ma se ci si rapporta a tempi sufficientemente lunghi tutto ciò che si osserva può essere spiegato mediante gli stessi processi che operano nell’oggi. Ad esempio, le montagne sono consumate, con continuità, dall’azione erosiva del vento, delle piogge, del ghiaccio, i sedimenti trasportati dalle acque dei fiumi si depositano sui fondali che si possono poi lentissimamente sollevare a causa di un’attività vulcanica che possiamo osservare anche oggi.
In estrema sintesi la teoria detta uniformista.
Sfrondato dalle sovrastrutture catastrofiste, e grazie alla prove che sempre più si accumulavano, il modello delle ere glaciali poteva essere accettato dagli uniformisti: dopo tutto i ghiacciai ci sono oggi, come sempre, sulla Terra.

Riconoscimento ufficiale
Ed infatti, in due riunioni della Geological Society a Londra, tenutesi il 18 novembre ed il 2 dicembre 1840, furono lette le memorie di Agassiz, di Buckland e dello stesso Lyell, tutte a favore del modello dell’era glaciale.
Quelle due riunioni possono essere ritenute il momento nel quale il modello delle ere glaciali ottenne il riconoscimento ufficiale, sebbene sarebbero trascorsi altri vent’anni prima che venisse accettato pienamente.

Scettico
Ma dobbiamo ritornare alla storia di Agassiz, al periodo nel quale, già riconosciuto come uno dei massimi esperti di pesci fossili, viene nominato professore di storia naturale in un nuovo collegio in via di istituzione a Neuchâtel. Siamo nel 1832 e Agassiz ha modo di incontrare un vecchio collega, de Charpentier; questi tenta di persuaderlo che c’era stata una grande glaciazione, ma Agassiz si mostra scettico.
De Charpentier non è, però, l’unico ad aver anticipato Agassiz nell’ipotizzare che la presenza dei ghiacciai in Europa fosse stata in alcuni periodi del passato maggiore di quanto non sia oggi.

“Massi erratici”

Già nella seconda metà del Settecento l’interesse degli studiosi di fatti naturali era attratto dalla presenza di enormi macigni, spesso denominati “massi erratici”, posizionati a distanze anche notevoli dagli strati geologici ai quali appartenevano.
Nel 1787 Bernard Kuhn, svizzero, ipotizzò che questi massi fossero stati trasportati dai ghiacciai che, in seguito, si ritirarono. Singolare opinione per un uomo di chiesa, quale era Kuhn, in aperto contrasto con l’opinione all’epoca da tutti accettata, e cioè che tutti i fenomeni di questo tipo potessero essere spiegati come effetti del Diluvio biblico.
Ai massi erratici si dedicarono in molti in quel periodo, anche Lyell, che propose che sì, quei massi erano stati effettivamente trasportati, ma non dai ghiacciai bensì inclusi in icebergs.

Un semplice montanaro
Ma la successione che avrebbe portato ad una corretta definizione delle ere glaciali non iniziò con nessuno dei luminari della scienza ottocentesca, bensì con un montanaro svizzero, Jaen-Pierre Perraudin. In quell’epoca c’era ancora spazio per i ricercatori dilettanti.
Nel 1815 descrisse a de Charpentier alcune osservazioni fatte nelle vallate libere dal ghiaccio: le superfici di rocce dure e difficili a sgretolarsi si mostravano incise in profondità da qualche evento che aveva esercitato su di esse una forte pressione e si convinse che fossero state scalfite da sassi sfregati su di esse da antichi ghiacciai. Ma de Charpentier trovò l’idea troppo curiosa per essere accettata.

Un ingegnere stradale
Perraudin continuò a presentare le sue prove e trovò attenzione da parte di Ignace Venetz, un ingegnere stradale la cui professione si giovava di una vasta conoscenza geologica della zona. Venetz fu convinto dagli indizi, in particolare dalle pile di detriti rinvenuti a chilometri di distanza dalla fine del ghiacciaio Flesch che sembravano morene terminali.
Nel 1829 presentò le argomentazioni a favore di una antica glaciazione all’assemblea annuale della Società svizzera di scienze naturali e sembra che l’unica persona ad uscire convinto dalla riunione fosse una sua vecchia conoscenza, de Charpentier.

Un ingegnere minerario

Jean de Charpentier, un ingegnere minerario ed un noto naturalista con interessi che andavano oltre le proprio esigenze professionali, si dedicò con intensità all’idea di studiare la presenza di arcaici imponenti ghiacciai e, dopo altri cinque anni di esplorazioni che gli permisero di raccogliere ulteriori prove, presentò, nel 1834, una dissertazione molto più accuratamente documentata delle precedenti alla solita Società svizzera di scienze naturali.  In questa occasione nemmeno uno degli ascoltatori si lasciò convincere. Di più, uno dei presenti, un certo Agassiz, fu tanto infastidito da decidersi, nel solco della più ortodossa tradizione scientifica, a confutarle e porre fine ad una tale insensatezza. Salvo poi ricredersi e …

[Le informazioni sono tratte da: J. Gribbin, “L’avventura della scienza moderna”, Longanesi, Milano, 2004; A. Navarra e A.  Pinchera, Il clima”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2000].

Agassiz, ovverossia l’Era Glaciale. ultima modifica: 2019-07-28T09:08:58+00:00 da Giorgio Della Valle

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