COP 24 – Conferenza sul clima
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Se numerosi esperti considerano le conclusioni della Conferenza insufficienti e sono convinti che ogni anno perso per contrastare efficacemente il cambiamento climatico non possa che accentuare il rischio di effetti irreversibili sul clima, i più realisti le giudicano come le sole possibili. In altri termini, ciò che è stato possibile ottenere, non ciò che è necessario. Qualcosa di meno sarebbe stata una dichiarazione di incapacità, la politica ha le sue regole e da una COP non può emergere un dichiarato disinteresse per la questione.
Una critica diffusa riguarda l’aspetto finanziario: per molte associazioni ambientaliste la Conferenza si conclude senza chiarezza su come le nazioni industrializzate forniranno finanziamenti a quelle in via di sviluppo, su come si raggiungerà l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020 e su come sarà definito l’obiettivo finanziario dopo il 2025. Senza dimenticare che sono le economie avanzate ad aver emesso la maggior parte dei gas ad effetto serra nel corso del 20° secolo, mentre a pagarne le conseguenze peggiori sono le nazioni più povere. Significativa, in tal senso, la promessa di intervento della Banca Mondiale: 200 miliardi di dollari a partire dal 2021 e per cinque anni; ma si tratta in massima parte di prestiti, forma non coerente, secondo le associazioni ambientaliste, con il “principio della riparazione del danno” subito dalle nazioni povere.
Ma non sono le disponibilità economiche e, tantomeno, le soluzioni tecnologiche a scarseggiare: a scarseggiare è la risorsa tempo e a Katowice, che apertamente ha riflesso il clima conflittuale globale, si è rischiato di far perdere il poco tempo che rimane.
Troppi governi non hanno capito quanto sia grave la situazione, oppure fingono di non capirlo per difendere interessi immediati, altri sono dichiaratamente negazionisti. È, dunque, un risultato in sé che si sia riusciti a non far saltare il percorso iniziato nel 2015, nonostante l’azione di sabotaggio delle nazioni produttrici di petrolio, ma molte decisioni tendenti ad un chiaro impegno per rafforzare gli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni sono stati rinviati.
Uno degli argomenti inaccessibili è stato il modo in cui i Paesi aumenteranno i loro obiettivi di riduzione delle emissioni. Attualmente, gli NDC (ovvero gli impegni presi dai governi di tutto il mondo in materia di riduzione delle emissioni di CO2), porterebbero ad un aumento della temperatura media globale di ben 3°C rispetto ai livelli preindustriali, 1,5°C sopra il limite consigliato dall’ultimo rapporto IPCC. Ma le questioni connesse, quali il meccanismo di sviluppo sostenibile e la possibilità di ricorrere a “meccanismi di mercato”, cioè il mercato del carbonio, oppure il conteggio dei crediti di CO2 legati alla presenza di foreste, hanno incontrato posizioni divergenti, annullando qualsiasi accordo.
Concentrazione di CO2 nell’atmosfera
Fino alla fine dell’Ottocento la concentrazione di CO2 nell’atmosfera era di circa 278 ppm, ed era rimasta stabile a quel livello per migliaia di anni.
Da allora la concentrazione è aumentata costantemente ed il trend di crescita è significativo: 0,86 ppm all’anno per gli anni ’60, di 1,90 ppm per gli anni 2000, e di 2,39 ppm all’anno per il periodo 2010-2017.
ETS (Emissions Trading System)
Sistema concepito in Europa, nel 2005, per indurre le industrie ad inquinare meno e dare una risposta alle sfide climatiche.
Semplice, in apparenza: fissare un tetto massimo alle emissioni di alcuni agenti inquinanti, in particolare biossido di carbonio (CO2), ossido di azoto (N2O) e perfluorocarburi (PFC).
Le aziende che emettono tali sostanze ricevono i “carbon credit” (quote di emissione), con una quota corrispondente all’autorizzazione ad emettere una tonnellata equivalente di CO2. In sostanza, diritti ad inquinare.
Le aziende possono acquistare quote sul mercato messe in vendita da industrie che hanno inquinato di meno e, quindi, non hanno utilizzato appieno i loro diritti.
Ad oggi, il sistema coinvolge circa 11.000 aziende in 31 Nazioni d’Europa.
Un numero definito di quote fu introdotto al fine di renderne i prezzi più alti e agire da deterrente: le aziende avrebbero dovuto trovare più conveniente investire in tecnologie in grado di limitare le emissioni piuttosto che acquistare titoli ETS.
Ma, invece di mantenersi a livelli alti, il prezzo dei carbon credit è via via sceso, fino a toccare i 3 euro. Durante la crisi finanziaria iniziata nel 2008, le imprese hanno ridotto le produzioni e diminuito le emissioni inquinanti, ritrovandosi con un eccesso di crediti che hanno iniziato a vendere creando, in tal modo, un eccesso di offerta che ha portato ad un crollo dei prezzi.
Oggi il valore è risalito, ma per comprare il diritto ad emettere una tonnellata di CO2 bastano 15 euro. Mentre, se si vorranno raggiungere gli obiettivi climatici, il prezzo non dovrebbe essere inferiore a 40 euro.
Pertanto, per il periodo 2012-2030, è stata introdotta una riduzione annuale delle quote del 2,2% allo scopo di elevare l’effetto-rarità e garantire prezzi adeguati anche in periodi di crisi.
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