COP 24 – Conferenza sul clima
“Siamo l’ultima generazione che può fermare i cambiamenti climatici e la prima a subirne gli effetti”.
Dal 3 al 15 dicembre, a Katowice, si è svolta la COP 24 (Conference of Parties), la Conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite.
Gli obiettivi
Aggiornare la conoscenza delle problematiche climatiche, identificare le sfide e dare concretezza agli impegni assunti da quasi tutti i paesi del mondo nel 2015, durante la Conferenza sul clima di Parigi.
Una sfida epocale e totalmente inedita nella storia dell’umanità.
Presenti una trentina di persone, tra capi di stato e di governo, poche rispetto alla quasi totalità dei leader mondiali accolti alla Conferenza di Parigi.
Curioso che la conferenza si sia svolta in Polonia, nazione che ricava l’80% della propria energia elettrica da centrali alimentate a carbone e altri combustibili fossili e che ha, di recente, annunciato la costruzione di una nuova centrale a carbone.
L’ultimo rapporto sul clima dell’IPCC
La conferenza è iniziata poche settimane dopo la pubblicazione da parte dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’ultimo rapporto sul clima.
Il rapporto analizza scientificamente il cambiamento climatico e propone modelli sulla sua possibile evoluzione.
Le conclusioni del rapporto prefigurano un futuro alquanto problematico per l’intero pianeta.
- La temperatura media del decennio 2006-2015 è cresciuta di 0,87° C rispetto al periodo pre-industriale.
- L’incremento di 1,5°C della temperatura media globale dovrebbe manifestarsi a partire dal 2030 ed è ormai inevitabile.
- La previsione è sostanzialmente doppia ai poli: +3°C di aumento se l’incremento medio sulla terra si fermerà ad un +1,5, e +4°C se si dovesse raggiungere un +2°C globale.
- Il livello dei mari è destinato a crescere tra 20 e 77 cm entro il 2100 se la crescita delle temperature si fermerà a 1,5°C. Altrimenti, potrebbe raggiungere il metro colpendo altre 10 milioni di persone che vivono nelle isole minori.
Mezzo grado in più potrebbe stravolgere il pianeta.
Per mantenersi entro questo margine di aumento (+1,5°C) sarà necessario:
- ridurre, entro il 2030, le emissioni di CO2 al 45% rispetto a quelle del 2010;
- produrre l’85% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2050;
- azzerare il consumo di carbone il prima possibile;
- ridurre le emissioni del sistema industriale tra il 70 e il 95% rispetto a quelle del 2000;
- diminuire il consumo di energia nelle abitazioni del 55-75% entro il 2050;
- accrescere la mobilità a basse emissioni da un preventivato 5% entro il 2050 ad un range tra il 35 e il 65%;
- raggiungere l’equilibrio, ed essere quindi a emissioni zero, entro il 2050.
In mancanza di azioni radicali, la temperatura media globale aumenterà di oltre 2°C.
Sono obiettivi ambiziosi, difficili da raggiungere: perché abbiamo solo 12 anni per agire efficacemente; per gli enormi costi richiesti (si stima che saranno necessari 2400 miliardi di dollari di investimenti tra il 2016 e il 2035, pari al 2,5% del Pil mondiale); perché, nonostante gli sforzi, le emissioni di CO2, stabili per quattro anni, hanno ripreso a crescere.
Ma è altrettanto certo che il costo dell’inazione potrebbe di gran lunga superare il costo della lotta ai cambiamenti climatici.
L’Accordo di Parigi
Durante la Conferenza di Parigi del 2015, 195 paesi sottoscrissero un accordo, non vincolante e senza penalizzazioni per chi decide di lasciarlo, per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C.
Soglia insufficiente per arrestare il riscaldamento, ma importante punto di partenza per due ragioni: per la prima volta ogni nazione si è sentita responsabile di agire con più efficacia per ridurre le emissioni, e le energie rinnovabili si sono affermate come nuove opportunità economiche.
In quell’incontro, ogni nazione ha presentato un proprio piano di riduzione destinato a mantenere la produzione mondiale di CO2, al 2030, a 56 miliardi di tonnellate, rispetto ai 69 miliardi che si libererebbero con gli attuali livelli di emissione.
I paesi più ricchi si erano impegnati a mettere a disposizione dei paesi più poveri, e più esposti agli effetti del cambiamento climatico, un fondo annuo da 100 miliardi di dollari a partire dal 2020.
Un ruolo rilevante nel convincere le nazioni a sottoscrivere l’accordo fu svolto da Unione Europea e Cina. Quest’ultima ha colto nella lotta al cambiamento climatico un’opportunità economica: investimenti nell’eolico, nel solare e nel nucleare di nuova generazione potrebbero potenziare le esportazioni di pannelli e altri sistemi per lo sfruttamento di energie rinnovabili, anche grazie alla modesta concorrenza degli Stati Uniti nel settore.
Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo nel 2017 (Trump sostenne che avrebbe danneggiato l’economia USA) e le conseguenze della decisione potrebbero essere complesse: per aziende europee e cinesi, soprattutto dell’industria pesante, le industrie statunitensi, favorite da una politica sulle emissioni meno restrittiva, potrebbero esercitare una concorrenza sleale producendo a costi più bassi.
[Parte prima]