I cipressi che a San Mamante
Qualche giorno fa, di fianco alla strada di San Mamante, sono stati abbattuti circa duecento alberi: cipressi dell’Arizona, oppure cipressi argentati, componenti una fitta siepe.
Il taglio di alberi, di qualsiasi specie, di qualsiasi età e collocati in qualsiasi luogo, solleva sempre, e in questo periodo di problematiche climatiche ed ambientali ancora più intensamente, interrogativi, e suscita talvolta un sincero rincrescimento per la soppressione di un organismo vivente meravigliosamente complesso e indispensabile per ogni altra forma di vita.
Ma quanto accaduto a San Mamante assume una ulteriore rilevanza: un lungo filare di alberi affiancato ad una strada collinare non può che caratterizzarne il paesaggio, renderlo riconoscibile soprattutto se incontra la memoria di più di una generazione di persone. E il paesaggio di quella zona fronteggiante Oriolo dei Fichi da decenni si presenta a tutti i passanti, soprattutto a chi vi si muove in bici o a piedi, per la sua lunga successione di cipressi. Il loro abbattimento non può, dunque, non avere un forte impatto visivo, estetico ed emotivo per chiunque provi una pur minima passione per ciò che la natura ci offre.
Fatta questa premessa, si pone, tuttavia, la necessità di entrare nella vicenda con più dettagli, per capire le ragioni che l’hanno originata, se si sono immaginate alternative al radicale intervento prima della sua attuazione, che cosa è stato pianificato per il prossimo futuro, chi dovrà coordinare gli interventi e garantire che siano eseguiti con maestria, e altro. Le prossime considerazioni sono il frutto di una veloce indagine che abbiamo condotto in questi giorni, di certo non esaustive, semplicemente un inizio.
Non possiamo che iniziare dal taglio di tutti i cipressi. Chi si muove per via San Mamante in bicicletta sa che quella zona è particolarmente ventosa e lo è da sempre se è vero che la fila di cipressi venne realizzata in modo fitto proprio quale barriera frangivento parecchi decenni fa. I cipressi in questione non sono alberi imponenti, raggiungendo a stento i 20 metri di altezza, ma messi addossati l’uno all’altra senza di fatto soluzione di continuità possono attivare una sorta di effetto vela che tende a rendere l’azione del vento insidiosa. Ci è stato comunicato che alcuni di essi sono stati abbattuti dal vento, quanto è bastato, assieme al fatto che i cipressi sono collocati proprio ai bordi della strada, per sollevare la preoccupazione del proprietario del terreno e spingerlo a chiedere l’autorizzazione al taglio alle autorità competenti. L’autorizzazione è stata rilasciata senza particolari problemi perché si è ritenuto che le ragioni di pericolo fossero giustificate. In fondo si trattava di abbattere, certo in numero elevato, alberi non autoctoni quali sono i cipressi citati.
La seconda questione, dunque: fino a che livello è corretto privilegiare le specie autoctone diradando, o eliminando, le numerose specie esotiche introdotte nelle piantumazioni delle nostre colline nei decenni passati? Questione complessa che non intendiamo minimamente affrontare, salvo però concederci una considerazione generale: i cambiamenti climatici stanno evidenziandosi in campo botanico; essenze utili decenni anni fa rischiano di non esserlo più nel presente e nel futuro; la tendenza è quella di favorire quelle specie autoctone che meglio di altre hanno dimostrato una significativa resilienza ai cambiamenti già in atto; e le querce sono annoverate tra le migliori specie per il futuro. Pertanto, a noi sembra che la decisione di sostituire i cipressi abbattuti con lecci possa essere valutata come una decisione assennata e fatichiamo ad intravederci quello che è stato definito “razzismo botanico”. Un lungo filare di lecci crediamo si inserisca in modo armonioso e riconoscibile nel nostro paesaggio collinare.
Ma ad una precisa condizione: che i responsabili pubblici verifichino con tempestività che il lavoro di ripiantumazione sia fatto nel migliore dei modi e che nei prossimi anni controllino con tempestività che tutte gli alberi messi a dimora attecchiscano, provvedendo prontamente alla sostituzione degli esemplari morti.
Un’ulteriore considerazione. È stato riportato in questi giorni un dato forse non precisissimo e cioè che le piante adulte sequestrano più CO2 di quelle giovani. Non è sempre così, molti sono i fattori che condizionano questa peculiare attività delle piante, ma in generale sono le piante giovani a sequestrare la maggior quantità di CO2. Per esempio. le foreste di vecchia crescita possono addirittura raggiungere un saldo netto pari a zero poiché la quantità di CO2 rilasciata dalla decomposizione delle parti morte equivale a quella fissata con la nuova crescita. Pertanto, lo riaffermiamo, chiediamo che il controllo del nuovo filare di lecci sia sottoposto ad un attento controllo nei primi suoi anni di vita per garantire la crescita ottimale di tutti i lecci piantumati.
Altra questione sollevata; quale rapporto numerico nella sostituzione delle piante abbattute? Anche in questo caso bisogna agire sulla base dei dati: un leccio ha una chioma molto più espansa di quella di uno dei cipressi abbattuti e, inoltre, accentuandosi la violenza dei fenomeni meteorologici, non dovrebbe essere consigliabile posizionare le nuove piante in modo fitto tale da creare una barriera continua. Anche in questo caso riteniamo che una corretta programmazione e una costante verifica delle procedure attuate siano quanto mai necessarie per garantire all’intervento il successo che richiede.
Infine, il tema delle nidificazioni. Esperti interpellati sostengono che le nidificazioni su questi cipressi, in ragione della conformazione dei rami, sono abbastanza rare e di certo non sono facilitate dalla costante presenza dei venti. Comunque sia, rimane la domanda: è stata effettuata una ricognizione per verificare la eventuale presenza di nidi e salvaguardare gli alberi interessati dal taglio?