Considerazioni schematiche sull’Analisi di contesto territoriale propedeutica alla scelta delle azioni di mitigazione e adattamento per la definizione del PAESC dell’Unione della Romagna Faentina (agosto 2020)
Come prima considerazione, riteniamo che la base dati a cui si fa riferimento andrebbe completata alla data più ravvicinata possibile (in quelli forniti il 7 luglio scorso si fa riferimento al 2016, il I° report di monitoraggio al 31/12/2017 ne riporta altri, oggi siamo nella seconda metà del 20020), per quanto possibile non solo come proiezioni, ma come dati verificati.
Pur comprendendo le difficoltà, e le tempistiche necessarie, ad armonizzare tutte le variabili in campo, riteniamo necessario che per completare questa analisi, oggi e per la prospettiva, sia necessario comprendere le ragioni di alcune incongruenze nei dati storici e tenere conto, per quanto possibile, di variabili esterne che, nel bene o nel male, influenzano i dati finali sulle 3 grandi variabili che sono gli obiettivi finali dei Piani di Azione (riduzione delle emissioni, aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, aumento dell’efficienza energetica).
Per fare solo due esempi, che sono già stati rilevati, sarebbe utile comprendere le ragioni degli andamenti risultanti tra il 2012 e il 2014 dei consumi energetici nel settore terziario (un raddoppio) e una contemporanea analoga riduzione nel settore residenziale.
E’ ipotizzabile che vi siano incongruenze tra le fonti dalle quali si sono attinti i dati, anche per modifiche nelle norme di rilevazione dei diversi enti fornitori?
Ci preme poi esprimere una considerazione di fondo, circa le modalità di calcolo delle percentuali di avvicinamento agli obiettivi dei Piani:
– legittimamente il PAES dell’URF ha preso come anno di partenza il 2005 (anche per le ovvie difficoltà a reperire la serie storica più lontana dei dati a livello locale) e su questo vengono calcolati gli obiettivi, che quindi, almeno apparentemente, sono molto positivi, si sarebbe arrivati, e addirittura superati, con molto anticipo i famosi “20 – 20 – 20”;
– è bene ricordare che sia a livello globale, nelle varie Conferenze delle Parti dell’ONU, nei target europei, nel Piano Integrato Energia e Clima dell’Italia, nel Piano Energetico Regionale dell’Emilia Romagna, la base di riferimento per il calcolo è il 1990;
– andrebbe pertanto fatta una comparazione per potere confrontare i dati effettivi. Per esempio, come si può spiegare che nell’ultimo monitoraggio sul Piano Energetico Regionale dell’Emilia Romagna, del novembre 2019, si rilevi che la riduzione delle emissioni dal 1990 al 2017 siano state del – 12% in tutta la regione, mentre nell’URF avremmo avuto una riduzione di più del 30% ?
Non ci interessa alimentare nessuna polemica “burocratico/contabile”, ma se il messaggio che viene veicolato alla cittadinanza è che abbiamo già superato tutti gli obiettivi, se ne potrebbe dedurre che siamo a posto, non importa fare più nulla. Possiamo forse dire che abbiamo fatto la nostra parte per scongiurare i cambiamenti climatici ?
Fosse anche vero che il nostro territorio – per qualche ragione che in ogni caso non dipende da particolari comportamenti virtuosi – è più avanti di altri, semmai si dovrebbe indicare la concreta possibilità di fare uno sforzo maggiore perché, come è ovvio, i cambiamenti climatici sono una emergenza globale e vi sono invece tante altre realtà che sono terribilmente indietro.
In questi calcoli, soprattutto se si parte dal 2005, andrebbe tenuto conto anche di quanto ha inciso la recessione globale dopo al 2007, (e da ultimo il lockdown) nella riduzione dei consumi e delle emissioni e quanto è invece dovuto agli effetti delle azioni realmente messe in campo.
Questo ci sembra l’aspetto più rilevante, l’impegno “a mobilitare la società civile al fine di sviluppare, insieme a loro, il Piano di Azione”, come sta scritto nel “Patto dei sindaci”, è la caratteristica fondamentale dei PAES e poi ancor più dei prossimi PAESC.
Da questo punto di vista, la valutazione che noi diamo, almeno come Legambiente – che insieme ad altre associazioni e singoli/e – abbiamo seguito, con precise osservazioni fin dalla nascita, il PAES dell’URF, non è positiva.
Ricordiamo che nella delibera di approvazione del PAES del 30 marzo 2015 si afferma, tra l’altro: …La struttura tecnica promuoverà e realizzerà una reale partecipazione di tutti i portatori di interesse e di tutti i cittadini anche attraverso l’attivazione di uno o più tavoli operativi permanenti, ai quali parteciperanno a pieno titolo i portatori d’interesse già coinvolti e le Associazioni, che lavoreranno sulla base di appositi protocolli di intesa, che saranno organizzati per gruppi di lavoro composti da tecnici comunali, incaricati dai comuni, associazioni civili, ambientaliste, ordini professionali ed altri portatori di interesse; i tavoli avranno funzione propositiva, consultiva e di valutazione dell’andamento complessivo del PAES; i tavoli potranno proporre anche la modifica e la revisione degli obiettivi….”
Questi tavoli operativi non sono mai stati costituiti, quanto meno noi non siamo mai stati invitati ma dubitiamo che invece “tutti i cittadini” siano stati coinvolti; alle nostre richieste le risposte segnalavano che prima bisognava fare i monitoraggi e infatti siamo stati invitati per ascoltare il I° report di monitoraggio e poi il 7 luglio di quest’anno.
A noi sembra un po’ poco per “ mobilitare la società civile al fine di sviluppare, insieme a loro, il Piano di Azione”.
Non intendiamo recriminare sul passato, ma chiediamo che quest’impegno sia onorato per il prossimo piano di azione in costruzione.
Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, che non solo ha degli obiettivi più ambiziosi per il 2030, ma deve contenere anche azioni specifiche di adattamento rispetto ai cambiamenti climatici già in atto, che ancora più che in passato devono indurre cambiamenti profondi nei modi, di produrre, di consumare, di muoversi, di abitare, di vivere, per ognuno di noi..
Quindi, a maggior ragione questa volta, non può essere un piano di immagine, scollegato da tutti gli altri strumenti di programmazione avviati in questo territorio.
Nella preparazione del PAES, rispetto alle nostre osservazioni puntuali ci veniva risposto che altri piani se ne occupavano: sulla mobilità e i trasporti il PUMS; sui rifiuti il PRGR; sulla qualità dell’aria il PRQA; per poter mettere più pannelli solari anche nei centri storici, il RUE; sugli impatti dell’industria e dei sistemi produttivi e sulla perdita di carbonio nei terreni agricoli, non è di pertinenza del PAES…e potremmo continuare.
Oggi, anche alla luce di nuove normative, europee, italiane e regionali, il PAESC deve necessariamente integrare una visione d’insieme, coinvolgendo:
– il Piano Urbanistico Generale (PUG) in preparazione, che parte dei principi di consumo di suolo zero, della rigenerazione urbana, dell’efficientamento di tutti gli immobili pubblici e privati;
– il Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS) adottato e attualmente in fase di raccolta delle osservazioni;
– e deve includere tutti i settori produttivi (industria, terziario, agricoltura…) prevedendo, anche in questo caso, azioni per la riduzione di tutte le emissioni climalteranti, l’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili (pensiamo a quanti capannoni industriali potrebbero essere coperti da impianti solari), la generalizzazione di interventi di efficientamento energetico.
Più in generale, dovrà misurarsi anche con il Piano Strategico 2030 dell’URF che, se pur ancora in forma abbozzata, contiene diversi spunti, ad esempio quello di “Una Unione auto-sostenibile dal punto di vista energetico”, immaginiamo tutta rinnovabile, è così?
A questo proposito andrebbe aggiornato precisamente, a livello di URF, il Piano Regolatore dell’Energia (PRE): quello di Faenza di prima del 2015 indicava un surplus di produzione di energia elettrica di 101,660 MWHe, che veniva esportata. Quindi l’obiettivo è già raggiunto?
Se l’obiettivo è l’auto-sostenibilità energetica da fonti rinnovabili, a partire da quella elettrica (ma poi ci sono tutti gli altri usi, per i quali lo sviluppo della trigenerazione, del biometano, ecc. sono indicazioni) non sarà sufficiente, come si legge nel Piano Strategico 2030, “agire in primo luogo sugli immobili e infrestrutture pubbliche … dando il buon esempio … “ ci sono invece ancora diverse altre cose da fare:
– azzerare la restante produzione da fonti fossili (era il 9%);
– contenere quella da biomasse, escludendo quelle non sostenibili (come l’uso dell’olio di palma);
– tenere sotto controllo le emissioni delle altre biomasse, che non generano solo CO2, ma anche altre emissioni dannose per il clima, l’ambiente, la qualità dell’aria;
– incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili, non solo promuovendo la diffusione di impianti solari in quante più abitazioni possibile, inclusi i condomini, ma negli impianti industriali e commerciali, creando dei veri e propri “distretti energetici”;
– il prossimo recepimento della direttiva europea sulle “Comunità energetiche” dovrebbe finalmente rendere possibile non solo l’autoconsumo, ma, senza le limitazioni di oggi, anche lo scambio di energia tra singoli soggetti.
Estendendo lo sguardo, recentemente la Regione Emilia-Romagna ha aderito al “Green new deal” europeo che punta alla neutralità carbonica entro il 2050 e al raggiungimento del 100% di energie rinnovabili entro il 2035, indicando come strumento fondamentale il“ nuovo patto per il clima e il lavoro” che dovrebbe attuare una trasformazione ambientale, economica e sociale.
Come sempre, è relativamente più facile fare dichiarazioni di principio sul futuro, che cominciare ad agire coerentemente per realizzare quelle dichiarazioni, ma noi pensiamo che queste indicazioni della Regione debbano essere prese sul serio e incorporate nei percorsi e nelle azioni del PAESC dell’URF.
Siamo ben consapevoli che trasformazioni di questa portata sono complesse e troveranno necessariamente ostacoli e opposizioni.
La stessa Regione che proclama quegli obiettivi, si comporta in maniera contraddittoria, ad esempio opponendosi al progetto di parco eolico off-shore al largo di Rimini, invece dando il via libera a un progetto dell’ENI a Ravenna per lo stoccaggio di CO2, costosissimo e inefficace dal punto di vista climatico e ambientale.
Proprio per questo è necessario il confronto e la partecipazione di tutti i soggetti in campo: non solo gli interessi economici forti, ma le organizzazioni della società civile, i lavoratori, i loro sindacati, le associazioni ambientaliste, competenze tecniche e scientifiche, per mettere in atto, con azioni coerenti, una visione sostenibile di futuro.
Nel nostro piccolo, non faremo mancare, come sempre, il nostro contributo e le nostre puntuali osservazioni, appena potremo misurarci su una traccia di piano che indichi questa strada.
Allegato
Legambiente – Considerazioni PAESC Unione Romagna Faentina