Amazzonia e Soia
Ricchissime cittadine
Lucas do Rio Verde è stata fondata nel 1988; nel 2008 aveva raggiunto i 26.000 abitanti, diventati 65.000 nel 2015 e con la previsione di arrivare a 300.000 entro vent’anni.
È una città ricchissima del Mato Grosso brasiliano: strade ortogonali, piste ciclabili ovunque, giardini pubblici perfetti dotati di giochi per bambini e attrezzature ginniche per adulti, campi di calcio e piscine olimpioniche in ogni scuola. La qualità della vita è, qui, ai più alti livelli.
Lucas do Rio Verde rientra in un gruppo di cittadine sorte nel Mato Grosso a partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento. Poco più a nord si incontra Sorriso, così chiamata perché, al momento della sua fondazione, i coloni italiani non volevano coltivare nient’altro che riso (“solo riso”). Andrà diversamente, come vedremo.
Questo processo di accentramento demografico è stato, ma solo in parte, favorito dalla politica della dittatura militare che prevedeva il trasferimento nell’Amazzonia e nel Mato Grosso di milioni di persone dal sud sovrappopolato all’ovest selvaggio, arretrato e passibile di uno sfruttamento senza limiti.
Ma i fattori determinanti sono stati altri: la disponibilità infinita di terra e il suo prezzo poco più che simbolico.
Così è sorta Sinop, una città che oggi conta circa 120.000 abitanti. Agli inizi degli anni Settanta una società immobiliare del posto, la Sociedade Imobiliária Noroeste do Paraná, comprò le terre e le affidò ad alcuni agricoltori originari dello Stato del Paraná, a sud di San Paolo. E la storia si fa leggendaria: fattisi paracadutare sui luoghi, a colpi di machete aprirono una striscia di terra nella foresta, la attrezzarono per l’atterraggio di piccoli aerei a turboelica, con il legname ottenuto dal disboscamento si costruirono le prime case, arrivarono altre persone e, come nel Far West, nacque il primo nucleo della futura cittadina. Affatto prosaica l’origine del suo nome, basta scandire le sue lettere per ritrovarla: S – I – NO – P.
Proteine vegetali
Ma la disponibilità di terra a basso prezzo non può, da sé, spiegare l’improvvisa e sconcertante ricchezza di queste cittadine di frontiera.
È stata una concatenazione di fattori, colti, peraltro, con tempismo e abilità, a innescare il processo, portandolo ad assumere dimensioni globali.
In primis, la crescente richiesta mondiale di proteine di origine vegetale.
Due le condizioni per rispondere alle esigenze del mercato internazionale:
milioni di ettari di terra subito disponibili per la coltivazione, ed il Mato Grosso, esteso e, di fatto, disabitato, era il luogo ideale;
l’esistenza di una specie di legume selezionato 5000 anni fa in Manciuria, il Glicine max, con la giusta composizione nutrizionale (circa 37% in proteine).
Questo legume giallo, la soia, presentava, però, un problema non irrilevante: era inadatto al clima tropicale della regione, con estati troppo calde e asciutte, e non sopporta una eccessiva acidità del terreno.
In un simile contesto intervenne lo Stato brasiliano, con un dispiegamento ingente di capitali: cospargendo il suolo con milioni di tonnellate di lime per abbassare la sua acidità e selezionando, presso un centro di ricerca statale, l’Impresa Brasiliana di Ricerca Agricola (Embrapa), varietà di soia resistenti alle condizioni climatiche tropicali.
Il primo passo.
Sempre in quegli anni, il presidente Fernando Collor de Mello decretò l’apertura del paese ai mercati mondiali: con l’annullamento dei dazi sull’importazione dei macchinari, dei pesticidi e delle sementi e di quelli sull’esportazione dei prodotti, nel giro di pochi mesi arrivarono in Brasile le multinazionali del settore con crediti, macchinari e tecniche per incrementare le rese. Di una sola cosa: la soia.
Infine, all’inizio del nuovo millennio, il governo di Luiz Inázio «Lula» da Silva completò il ciclo autorizzando la coltivazione senza limiti di varietà OGM e, oggi, oltre il 90% della soia prodotta nel Mato Grosso proviene da semi geneticamente modificati.
E così si è realizzato quello che il quotidiano britannico The Economist ha definito il “miracolo del cerrado”
Buon prezzo
Fino agli anni Sessanta il prezzo internazionale della soia si mantenne sotto i 150 dollari a tonnellata. Nel 1973 il primo incremento, causato dalla contrazione della produzione di farina di pesce e di arachidi. Con oscillazioni, il prezzo si è mantenuto stabile fino al 2006 con quotazioni inferiori ai 300 dollari. Nel 2007 l’impennata sopra i 450 dollari, fino a sfiorare i 600 dollari.
La crescita del prezzo della soia ha una evidente e diretta influenza sulla sua produzione ed è originata da differenti azioni: la elevata domanda di prodotti alimentari spinta dall’aumento dei redditi e dal processo di urbanizzazione, le fluttuazioni del prezzo del petrolio e delle produzioni agricole in alcuni paesi esportatori, e la speculazione finanziaria internazionale.
Prezzo internazionale della soia in dollari per tonnellata di prodotto.
Coltura egemone
Non solo in Mato Grosso, ma in tutti i paesi sudamericani appartenenti al Cono Sud (Brasile, Argentina, Paraguay, Bolivia e Uruguay) la coltivazione della soia è divenuta negli ultimi due decenni l’attività agricola predominante.
La superficie destinata a soia in questa regione rappresenta la metà della superficie mondiale ed equivale ai territori di Germania, Portogallo e Belgio messi assieme.
Se nel 1970 nel Cono Sud si produceva il 4% della produzione mondiale di soia, nel 2013 si è raggiunto il 53%. Sempre in quel frangente di tempo, l’area destinata alla soia è cresciuta di 34 volte, mentre negli Stati Uniti, storici produttori, la superficie è solo raddoppiata.
In questa regione, ogni cinque ettari coltivabili due sono vincolati alla soia.
In Brasile la soia supera il 50% delle coltivazioni temporanee e raggiunge il 9,4% delle esportazioni totali. In Argentina è ancora più estesa: 60% della superficie agricola coltivata e 25% del valore totale delle esportazioni.
Superficie agricola coltivata a soia (ettari) nell’America del Cono Sud (1961-2013).
I due grafici mostrano l’estendersi della coltivazione della soia nel Cono Sud sudamericano. In evidenza l’espansione nello stato del Mato Grosso.
La “Repubblica unita della soia”
Nel 2002 la Syngenta, multinazionale svizzera ora di proprietà cinese, pubblica sui principali giornali argentini un annuncio rivolto ai proprietari terrieri con il quale propone un programma di informazione e di supporto tecnico e finanziario per un passaggio radicale alla coltivazione della soia. Inserisce anche una mappa dell’area vocata alla produzione del legume e, addirittura, la definisce “Repubblica unita della soia”, con tanto di bandiera.
Oggi, lo stato della soia esiste, e si comporta come una sorta di entità sovranazionale, in grado di agire indifferente alle legislazioni nazionali, rispondendo ad un’unica ragione, quella dell’agribusiness.
In quelle terre, dove si coltiva intensamente e solo soia, si è realizzato in pochi anni un livello di concentrazione della proprietà terriera tra i più alti al mondo, migliaia di piccoli produttori sono stati allontanati dalla concorrenza e dai pesticidi, e i grandi produttori non sono più agricoltori ma soci di imprese di capitali. In realtà, il potere è nelle mani dei grandi gruppi che si occupano di sementi, fertilizzanti, macchinari e, soprattutto, dei trader, le aziende che gestiscono il trasporto e la vendita del prodotto. Solo quattro, in attesa che la Cina entri nel settore nel suo solito elefantiaco modo.
[Le informazioni sono liberamente tratte da: S. Liberti, “I signori del cibo”, minimun fax, Roma, 2016; V. J. Wesz Junior, “La filiera della soia nell’America del Cono Sud: dinamiche, processi e attori”, Rivista di Economia Agraria, Anno LXXI, n. 1, 2016: 25-45; J. Blunck, “Bolsonaro minaccia l’Amazzonia”, Internazionale, n. 1311, 2019: 40-48]